Cronaca

Chiusura estiva reparto Disturbi Alimentari dell’Umberto I

Fenice Lazio ODV denuncia la chiusura del reparto Disturbi Alimentari del Policlinico Umberto I di Roma durante l’estate. I fatti e il commento della scrittrice Chiara Domeniconi.

La chiusura per la pausa estiva del reparto Disturbi Alimentari del Policlinico Umberto I di Roma, il più grande ospedale d’Europa per area occupata e il terzo ospedale italiano per capienza, ha sollevato preoccupazioni tra le associazioni e le famiglie dei pazienti. Secondo un comunicato stampa dell’associazione Fenice Lazio ODV, il reparto che accoglie pazienti con gravi disturbi alimentari, come anoressia nervosa e bulimia, ha chiuso il 19 luglio e riaprirà il 26 agosto.

Così le pazienti ricoverate sono state temporaneamente dimesse, generando chiaramente grande preoccupazione tra le famiglie e disorientamento tra i pazienti. Durante questo periodo estivo, il Policlinico offrirà solo controlli ambulatoriali, una misura che, per disturbi che possono avere escalation gravi e fatali, rischia di essere insufficiente, lasciando pazienti e famiglie in grande difficoltà.

Nel Lazio, come in tutta Italia, i casi di disturbi alimentari sono in aumento

Mentre i servizi adeguati scarseggiano e le liste di attesa per accedere ai servizi esistenti sono di 10-12 mesi. In molti casi, i parametri vitali dei pazienti sono così a rischio che il ricovero è indispensabile e urgente. La chiusura del reparto per più di un mese in uno degli ospedali principali di Roma appare quindi una decisione quantomeno critica.

Il Policlinico Umberto I, che negli ultimi tempi ha già visto una riduzione del personale e la cancellazione di 113 posti letto a causa di accorpamenti e rimodulazioni, ridurrà la capacità dei suoi 22 reparti dagli attuali 208 letti a 195, con una diminuzione del 36% in circa un mese. Questa riorganizzazione è stata giustificata dalla direzione generale come una misura per garantire le ferie estive al personale sanitario e sociosanitario, come riportato da Il Tempo. Pur comprendendo le esigenze dei turni di ferie e di riposo, resta il fatto che la chiusura del reparto per disturbi alimentari aggiunge ulteriori difficoltà per i pazienti.

Dal Policlinico Umberto I rassicurano che l’assistenza ai pazienti non verrà a mancare neanche in questo periodo di chiusura

e che le prestazioni saranno garantite. “Il reparto di degenza ordinario per i Disturbi alimentari ha 4 posti letto – fanno sapere dalla direzione sanitaria -. Le attività in estate vengono ricondotte per le urgenze nel reparto di Nutrizione clinica, già utilizzato per questo tipo di pazienti con complessità più elevate”. In un’ottica di razionalizzazione delle risorse, le attività vengono quindi ricondotte in altre unità, mantenendo sempre attivi il day hospital e l’ambulatorio.

Abbiamo chiesto a Chiara Domeniconi, scrittrice con un passato di gravi disturbi alimentari e attivista, di condividere la sua opinione in merito:

“È da molto tempo purtroppo che ho a che fare con la sanità, mentale e fisica, per motivi belli e brutti, comunque di famiglia. Mio nonno era un bravissimo e stimato medico internista e, non solo a mio parere che sono la nipote, uno dei migliori, uno degli ultimi veri e ‘completi’ dottori degli ultimi tempi. Ricordato ancora oggi a distanza di molti anni dalla sua morte. Quasi tutti medici e farmacisti da parte di papà nella mia famiglia, anch’io iniziai quegli studi, abbandonati a causa, appunto, della mia grave bulimia.

Salute. Infatti. Anche mentale. Mi sono ammalata a sette anni per i problemi di alcolismo e bipolarismo di papà. Anoressia, binge eating, attacchi di panico, autolesionismo, fobia sociale, derealizzazione. Ho avuto a che fare quindi con dottori, ospedali, strutture e sanità da sempre, con nonno, mio padre, poi me. I miei tre anni di medicina. Fino ai miei tre anni e mezzo di ricoveri. La morte di mio padre. Psichiatri, psicologi, nefrologi, nutrizionisti, Os, infermieri… incontri salvifici o inutili. Comunque insegnamenti. Anche se stancavano. E spesso costavano. Tempo e soldi. A 38 chili la fatica fisica e psicologica si sentiva ancora di più.

Anni fa le strutture erano ancora meno, si sapeva ancora meno di questa malattia

Ma non si è fatto abbastanza credo per una patologia così diffusa per età, ceto e sesso. Un morbo che uccide, famiglie intere non solo singole persone. Uccide anche economicamente. Perché spesso a livello pubblico c’è poco. Io ho dovuto tante, troppe volte pagare per non morire. Sì, per non morire. Di pazzia, di magrezza, di suicidio. Non c’era posto nelle strutture pubbliche, dai terapeuti dell’ASL, liste d’attesa troppo vaste, tempi infiniti.

Chiuso per ferie… Sì. Dottori al mare senza sostituti adeguati, senza nessuno a leggermi nemmeno le analisi. Follia pura.

Sembrava, sembra che d’estate non si debba o non si possa morire perché c’è il sole, gli ombrelloni e la spiaggia. Quando invece per chi soffre di disturbi mentali è il momento più terribile. Di depressione. Quindi? I medici, le strutture si dovrebbero alternare, dare il cambio, incrementare il ritmo addirittura, aumentare i posti letto, il personale, con tanti disoccupati che ci sono. Inventarsi magari dei centri estivi per DCA, delle vacanze ‘terapeutiche’, delle strutture marittime o montane per i periodi di ferie. Cioè, qualcosa in più, non in meno.

Di disturbi alimentari si muore

A me avevano dato cinque giorni di vita. Non una settimana. Cinque giorni. Sono qua ora perché ho lottato, cercato, fatto viaggi della speranza. A volte mi sembrava di essere sola contro il mondo, un mondo che non mi voleva viva proprio quando io invece avevo deciso di vivere sul serio. Gli ospedali non sono bar che se uno resta senza caffè non muore. La testa, il corpo di un malato di DCA ha bisogno di continuità nelle cure, fino alla fine, fino alla guarigione, alla stabilizzazione. Sennò è un suicidio della e per la società. E magari, purtroppo, per l’individuo. Come lo è stato per mio padre. Io ce l’ho fatta. Ma non bisogna lasciare che sia un caso.”

La chiusura estiva del reparto Disturbi Alimentari del Policlinico Umberto I solleva interrogativi sull’efficacia e l’adeguatezza delle misure adottate per garantire la continuità delle cure per i pazienti con gravi disturbi alimentari. Le associazioni e le famiglie dei pazienti chiedono risposte e soluzioni adeguate per affrontare questa situazione critica.

Sheyla Bobba

Classe 1978. Appassionata di comunicazione e informazione fin da bambina. Non ha ancora 10 anni quando chiede una macchina da scrivere come regalo per il sogno di fare la giornalista. A 17 anni incontra un banchetto del Partito Radicale con militanti impegnati nella raccolta firme per l’abolizione dell’Ordine dei Giornalisti e decide che avrebbe fatto comunicazione e informazione, ma senza tesserino. Diventa Blogger e, dopo un po’ d’inchiostro e font, prende vita il magazine online SenzaBarcode.it Qualche tempo dopo voleva una voce e ha creato l’omonima WebRadio. Con SBS Edizioni & Promozione si occupa di promozione editoriale e pubblicazione. Antipatica per vocazione. Innamorata di suo marito. Uno dei complimenti che preferisce è “sei tutta tuo padre”.

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