Freddie Mercury, una vita estrema
Lo scrittore Paolo Borgognone ci racconta in un libro l’esistenza su e giù dal palco di Freddie Mercury , tra vertici artistici straordinari e un destino beffardo.
Un grande nome del rock, raccontato in una biografia puntuale e appassionata. È la storia di Freddie Mercury – The Show Must Go On, redatto dal giornalista e scrittore Paolo Borgognone ed edito per la Diarkos. Abbiamo posto qualche domanda all’autore.
Paolo cosa c’è di vivo oggi di Freddie Mercury?
Tante cose. Intanto, ed è ovvio, la sua musica straordinaria che risuona ancora molto spesso alle radio e perfino nelle pubblicità. Poi il lascito in favore delle persone vittime dell’AIDS, la malattia che lo ha ucciso e che la fondazione creata in suo nome continua a sostenere sia direttamente che indirettamente, finanziando la ricerca in campo medico. Sappiamo quanto questo aspetto conti per sconfiggere o quantomeno limitare i danni di una sindrome che qualche decennio fa era semplicemente considerata incurabile.
Quale aspetto della sua vita ti ha colpito di più scrivendo questo libro?
Certamente quello della determinazione. Fin da giovanissimo, prima a Zanzibar dove era nato e poi in India dove ha studiato e infine in Inghilterra, il giovane Farroock Bulsara – questo il suo vero nome – ha sempre creduto di farcela; sapeva che sarebbe arrivato in cima. Nonostante tutte le difficoltà incontrate, ci è riuscito tanto che oggi, a oltre trenta anni dalla sua scomparsa, siamo ancora qui a parlarne e ad ascoltarlo.
Tra le difficoltà che ha affrontato c’era anche il razzismo
Purtroppo sì. Freddie arrivò a Londra intorno alla metà degli anni ’60. La situazione in Gran Bretagna non era certo come quella che si viveva negli stessi anni al di là dell’Atlantico, con la segregazione razziale e la repressione del movimento dei diritti civili, ma comunque un ragazzo che volesse emergere e che provenisse da parti lontane del mondo subiva, oltre al resto, anche il bullismo razzista. Per fortuna, Freddie era un tipo tosto e sapeva controbattere a qualsiasi aggressione, tanto fisica che morale. Da ragazzo aveva praticato anche il pugilato.
Per alcuni i suoi gusti, soprattutto in termini di look, erano estremi
Hai centrato il problema. No esiste solo il razzismo basato sul colore della pelle o sul censo. Esiste anche quello che commenta, giudica l’aspetto esteriore, i vestiti che si sceglie di indossare, la lunghezza dei capelli. A maggior ragione questo valeva nel periodo storico di cui parliamo. Per fortuna proprio allora si assisteva a un rapido cambiamento del modo di essere della società. Non che certi problemi siano risolti, purtroppo, ma la fine degli anni Sessanta e il decennio successivo hanno almeno alleviato molte di queste pene.
Torniamo alla musica. La tua canzone preferita dei Queen?
Domanda difficile. Il gruppo era composto da diversi elementi in grado di produrre brani di livello assoluto. Mi riferisco in particolare al chitarrista, Sir Brian May, ma anche a Roger Taylor e John Deacon. Per risponderti scegliamo una risposta semplice e diciamo Bohemian Rhapsody un capolavoro.
Dopo la scomparsa di Freddie Mercury, gli altri sono andati avanti e a qualche fan non è piaciuto. La tua opinione?
Credo che gli artisti debbano essere sempre e comunque liberi di esprimersi. Scontato dire che i Queen senza Freddie non sono la stessa cosa, ma penso che se gli altri membri del gruppo se la sentono fanno bene a continuare. Personalmente ho assistito a un paio dei loro concerti dopo la scomparsa del cantante e devo dire – da fan – che mi sono piaciuti tantissimo.
Ultima domanda. Pensi che esista e se esiste chi è l’erede di Mercury?
La sua voce era inimitabile e lo abbiamo visto sia durante il concerto-tributo del 1992 che in tutte le occasioni nelle quali qualcuno ha interpretato le sue canzoni. Diciamo che è meglio non provare a imitarlo, ma che ognuno è libero di interpretare le sue canzoni a modo proprio. D’altronde, i pennelli li possono tenere in mano tutti, ma la Gioconda l’ha dipinta solo Leonardo da Vinci.