Caio Giulio Cesare a Torre Argentina
“Tu quoque, Brute, fili mi”. Molti di noi conoscono questa frase. La maggioranza di noi è cresciuto pensando a quanto fosse orribile il tradimento di Bruto nei confronti di Caio Giulio Cesare, colui che lo amava tanto al punto da considerarlo un figlio.
Quasi tutti noi sappiamo che le Idi di Marzo corrispondono al 15 marzo, perché nel calendario romano le Idi era il giorno che divideva a metà il mese. Questo è il verso della medaglia che ci hanno insegnato a guardare. Il lato della moneta che raffigura Caio Giulio Cesare, il grande condottiero romano che aveva assoggettato i popoli barbari e conquistato le loro terre. L’uomo che è stato tradito proprio da colui che aveva cresciuto come un figlio, e per questo il nostro palcoscenico oggi è Largo di Torre Argentina.
Ma le medaglie hanno due facce. E credo sia giusto osservare anche il suo rovescio
Così ci viene raccontata una storia diversa da quella che abbiamo studiato a scuola. È vero: l’uccisione di Cesare ci ricorda quanto sia tremendo essere traditi dagli amici e dai fedeli. Questo tradimento può avere un altro significato: non sono stati Bruto e i congiurati a tradire il console Caio Giulio Cesare, bensì potrebbe essere stato proprio il console che stava cercando di tradire la libertà e la democrazia della Res Publica dell’antica Roma.
Caio Giulio Cesare, forte del potere e del rispetto che si era conquistato sui campi di battaglia, stava voltando le spalle a quello per cui aveva combattuto: voleva diventare unico Re e Imperatore di Roma. Stava tradendo il giuramento di fedeltà alla Repubblica. Perché Roma, all’epoca, era una Repubblica, dove gli equilibri dei poteri erano ben bilanciati proprio per volere dei romani.
Allora perché non provare a guardare coloro che noi siamo abituati a considerare traditori come difensori e paladini di quelle libertà che la democrazia dell’antica Roma garantiva? Bruto ha messo da parte anche l’affetto e la stima verso colui che era stato il loro punto di riferimento, perché Cesare stava compiendo un alto tradimento.
Ma questa medaglia ha anche un secondo rovescio, sempre dalla parte opposta all’effige del grande condottiero
Non esiste una targa o un’indicazione per ricordare l’uccisione di Giulio Cesare. A noi sono arrivati tanti racconti e testimonianze che descrivono alla perfezione il luogo dove è stato ucciso Cesare. Dove si è perpetrato un tradimento, da qualunque punto di vista lo si voglia vedere. È accaduto alla Curia di Pompeo, quella che oggi noi conosciamo come Largo di Torre Argentina.
Proprio lì, al centro della piazza, nello spazio ribassato dove possiamo ammirare i resti archeologici di una Roma di due millenni fa, si è compiuto il Cesaricidio, il giorno delle Idi di Marzo dell’anno 44 a.C.. Tra il traffico delle automobili da una parte e le vibrazioni del tram dall’altra, sono stati rinvenuti i basamenti di quello che era uno dei luoghi più importanti luoghi di riunione del Senato Romano durante gli anni della Repubblica. Sulle scale che conducevano all’aula dove si riunivano i Senatori si è perpetrato un omicidio che ha segnato, e segna ancora, le pagine dei libri di storia. Sulle rovine di quelle scale, oggi regno incontrastato della più antica colonia felina di Roma, ancora non esiste una targa che ricordi l’avvenimento.
Rimane solo una lastra di due metri per tre che l’Imperatore Augusto fece porre a ricordo del Cesaricidio prima che la Curia di Pompeo fosse definitivamente chiusa e murata. Ma ormai Roma era cambiata: la Res Publica era terminata.
Eravamo negli anni dell’Impero di Augusto.
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