Il Parco degli Acquedotti a Roma
Voglio cominciare questa serie di incontri settimanali con uno dei miei luoghi del cuore di Roma: il Parco degli Acquedotti.
Ognuno di noi ha un luogo del cuore. Uno di quei posti dove ha il piacere di andare, il desiderio di vedere e la necessità di vivere. A ridosso della Tuscolana, una delle vie più commerciali e più trafficate della Capitale, nasce questa enorme distesa di verde cittadino che fa parte del più ampio Parco regionale dell’Appia Antica (l’area protetta urbana più estesa d’Europa). Il suo nome prende spunto dai numerosi resti archeologici di sei degli undici acquedotti che avevano edificato gli antichi romani per rifornire d’acqua la Città Eterna. Inoltre, è possibile anche camminare tra gli archi dell’acquedotto Felice, ancora oggi funzionante per l’irrigazione di tutta la zona ed edificato dai Papi in epoca rinascimentale sfruttando il già esistente acquedotto Iulia.
Passeggiare per il Parco degli Acquedotti significa muoversi in mezzo alla storia, dove la testimonianza dell’ingegno di coloro che avevano conquistato tutto il mondo all’epoca conosciuto si miscela perfettamente con una natura che ancora oggi resiste all’avanzata del cemento selvaggio. Perché nei 240 ettari di questo parco è la vegetazione arborea (costituita in particolare da pini) che ancora domina, lasciando spazio solo all’ acquedotto Felice che dà vita ad un laghetto che prosegue con un corso d’acqua ed una cascata che ricalcano l’antica marrana dell’Acqua Mariana.
Ma c’è di più
Dopo un periodo nel quale, il Parco degli Acquedotti, era stato abbandonato al suo destino – in quanto il degrado si era impadronito della quasi totalità dell’area – dalla fine degli anni Ottanta, si è potuto consegnare il Parco a tutti coloro che vogliono godersi un po’ di relax incontaminato oppure a chi ama prendersi cura del proprio corpo con una sana attività sportiva, grazie alle associazioni dei cittadini dei quartieri circostanti. Oggi, si possono incontrare runner correre per i sentieri, persone anziane chiacchierare amabilmente tra loro seduti al fresco delle panchine posizionate sotto i pini, cani che giocano e corrono felici nelle enormi aree per loro attrezzate, bambini in bicicletta sprizzanti di gioia sotto l’occhio vigile dei genitori.
Capita spesso anche di poter osservare piccoli gruppi di persone che praticano yoga o mamme con i bambini nei passeggini che fanno ginnastica seguendo le indicazioni di un’allenatrice. Questa è un’altra bellissima realtà, in quanto anche le associazioni culturali o sportive hanno i loro spazi per poter rendere più viva questo spazio naturale e permettere il benessere alle persone. Perché il Parco degli Acquedotti è di tutti e nessuno si deve sentire escluso
Del resto, nella recente storia di questa zona, proprio qui si è potuti essere testimoni di quanto sia importante l’inclusione nella società di chi è considerato ultimo dalla stessa
All’inizio degli anni Settanta alcuni emigrati del Sud Italia avevano trovato ricovero tra gli archi dell’acquedotto. Non avendo la possibilità di affittare un appartamento, alcune famiglie si erano sistemate alla meglio sfruttando la copertura che gli avevano lasciato gli antichi romani. Erano baracche, ricoveri di fortuna, dove non era possibile avere neanche l’acqua corrente. L’unico modo per lavarsi o cucinare era recarsi alle fontanelle dove poter riempire taniche o bottiglie. Anche i bambini di questi ultimi vivevano nel degrado e nel disagio. Non andavano a scuola ed erano eternamente sporchi a causa della fanghiglia che si creava spesso su un terreno fatto solo di terra ed erba.
Un sacerdote di nome Roberto Sardelli, il viceparroco della chiesa di San Policarpo (che sorge proprio all’interno del parco), decise di mettere fine a quella situazione. Rimboccandosi le maniche e contro i benpensanti del quartiere, fece nascere la Scuola 725 (che prese il nome dal numero della baracca allestita a luogo di incontro e istruzione) dove i bambini potettero sentirsi meno ultimi. Ma don Roberto fece di più: intraprese una battaglia civile con le istituzioni per dare a coloro che vivevano nelle baracche una vita degna di questo nome.
Una storia che si concluse con l’assegnazione di alloggi popolari e lo smantellamento di quella vergognosa baraccopoli. La giustizia sociale, in questo caso, aveva vinto contro l’emarginazione
In questo luogo del cuore, dove ho anche imparato ad andare in bicicletta sbucciandomi le ginocchia un’infinità di volte, ci vado per passeggiare immerso nella natura e travolto dalla varietà di esseri umani che si incontrano. Ci vado per immergermi in una coinvolgente lettura o per scrivere le storie (vere o presunte) che mi piace raccontare. Ci torno per portare a spasso i miei cani o per godere del cinguettio delle migliaia di uccelli che vivono tra le fronde dei pini (nonostante il fastidioso rumore degli aerei che sorvolano il parco un po’ troppo spesso). Per rivivere la storia di duemila anni fa (godendo di un tramonto unico tra gli archi dell’acquedotto Felice) o di qualche decennio fa (anche se io ero troppo piccolo per ricordare quei fatti).
Ci vado per amare ancora la mia città, Roma, che non è solo cemento e confusione come molti vogliono far credere, ma anche relax, condivisione e coabitazione civile, così come il Parco degli Acquedotti ne è testimonianza.
Conoscere Roma è importante. Viverla è fondamentale.