Il ricatto: mezzo per tenere la vittima sotto scacco
Spesso sentiamo utilizzare il termine ricatto e subito pensiamo a qualcosa che ha a che fare con la sottrazione di denaro.
In effetti se curiosiamo in un qualsiasi dizionario, troveremo nella definizione che questa parola ha uno stretto collegamento con il termine riscatto, ovvero, il prezzo chiesto per riavere qualcosa o qualcuno – pensiamo per esempio al periodo buio in cui erano soventi i rapimenti – ma soprattutto riferito a quella attività messa in atto dall’attaccante che attraverso l’uso di violenza intesa quale coercizione tirannica che elimina ogni possibilità di reazione nella vittima oppure una costrizione fisica o psicologica – che viene imposta sulla volontà di prendere una scelta in autonomia – approfitta si una determinata circostanza per ottenere un vantaggio che in una condizione di normalità non potrebbe avere.
Dal punto di vista della giurisprudenza, il ricatto purtroppo non ha una definizione propria ma è strettamente collegato all’art. 629 del codice penale che definisce il reato di estorsione tipologia di illecito penale che incide sulla vittima non solo creando un danno economico ma anche attraverso la sua capacità di autodeterminarsi.
Nel mondo fisico è necessario che l’azione violenta e minacciosa operata dall’attaccante sia in modo chiaro e diretto volta a limitare la volontà della vittima per costringerla a fare – o non fare – qualcosa.
Questa azione può essere messa in atto attraverso molteplici modalità sia fisiche che psicologiche: coercizione fisica violenta con cui si impone con la forza alla vittima di fare una determinata azione oppure attraverso una forzatura psicologica con cui si sottomette la vittima che si troverà in condizione di non poter reagire al ricatto psicologico. Ma come sempre la domanda che ci poniamo è quella riferita alle azioni nel mondo virtuale.
Molti reati cyber vengono messi in atto attraverso il ricatto, si pensi ad esempio all’estorsione di denaro che viene fatta attraverso l’infezione del computer da parte di un malware che dopo aver bloccato il sistema visualizza il messaggio di richiesta di denaro oppure al ricatto psicologico che subisce una cybervittima che sopo aver scambiato immagini rientranti nel sexting subisce la minaccia della vendetta pornografica nel momento in cui decide di non inviare altro materiale di nudo esplicito.
Anche nel cyberbullismo troviamo la parola ricatto all’interno della definizione di cui all’art. 1 della Legge 29 maggio 2017 nr. 71. Questo perché le azioni violente e minacciose si accompagnano sempre alle attività di bullismo sia fisico che cyber. Alcune volte la cybervittima viene messa sotto ricatto psicologico attraverso messaggi diretti che minacciano un male ingiusto anche verso componenti della famiglia nel caso di querela o nel caso in cui decida di rendere pubbliche le vessazioni cibernetiche subite.
Nel mondo virtuale mi permetto di definire il ricatto cibernetico collegato al bullismo la forma può devastante di violenza e minaccia in quanto come ogni altra azione commessa all’interno della rete i soggetti che vengono coinvolti nell’azione cyberbulla tendono a mettere ulteriormente in ridicolo la vittima a causa della sottomissione psicologica in cui versa che spesso purtroppo sfocia in depressione o azioni autolesioniste.
Foto di geralt / 23784 images da Pixabay
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