Donald Trump, il Presidente tycoon
Donald John Trump nasce il 14 giugno 1946 a New York, quarto di cinque figli dell’imprenditore Frederik Trump e di Mary MacLeod.
Frequenta però con profitto le scuole e, nel 1968, si laurea in economia, entrando anche nell’azienda paterna, dove comincia la sua scalata nel mondo degli affari; fra anni ’70 ed ’80 Trump investirà in alberghi, sport e molteplici altri settori, guadagnando somme ingenti e la reputazione di affarista spregiudicato.
Nel 2016 si candida alle presidenziali contro Hillary Clinton, che sconfigge inaspettatamente dopo un confronto molto aspro. Come primi atti da Presidente, Trump promuove il rafforzamento del muro contro il Messico, blocca l’accoglienza di rifugiati e vieta l’ingresso ai cittadini di sei paesi a maggioranza musulmana, motivando il tutto con esigenze di sicurezza. Nel 2017, Trump annuncia il ritiro degli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi, mossa che gli vale numerose critiche internazionali. Un’altra politica che gli vale molte critiche è quella sanitaria, dove Trump cerca in ogni modo di smantellare l’Obamacare.
Meno controverse sono alcune delle politiche economiche di Trump, verosimilmente le migliori della sua Presidenza
Trump adotta un taglio delle tasse sul reddito, abbassa l’imposta sul reddito, favorisce una politica di bassi tassi di interesse ed impone una deregolamentazione dell’attività economica. Il taglio delle tasse fornisce un notevole stimolo ai consumi, il reddito medio aumenta, il PIL sale e la disoccupazione, già in decrescita con Obama, diminuisce ancora, tanto che nel 2019 toccherà il minimo storico del 3,5%. Si tratta di risultati indubbiamente positivi, anche se bilanciati da un notevole aumento del deficit e del debito pubblico.
Cerca poi di operare una reindustrializzazione del Paese, adottando severi provvedimenti per le imprese che delocalizzano la produzione all’estero. Per quanto riguarda la politica commerciale, Trump impone dazi particolarmente onerosi all’Unione Europea, ma soprattutto alla Cina.
In tema di politica estera Trump appare particolarmente imprevedibile: notoriamente buoni sono i suoi rapporti con Putin e la Russia, che gli valgono peraltro una celebre inchiesta, denominata Russiagate. Per quanto concerne la Corea del Nord, che nel 2017 testa missili balistici potenzialmente in grado di colpire gli USA, Trump reagisce inizialmente in maniera veemente; successivamente, però, nel 2018, sarà il primo Presidente americano ad incontrarsi con un omologo nordcoreano, nel caso di specie Kim Jong-Un, operando una distensione dei rapporti con il Paese comunista.
Nel 2018 Trump ritira gli USA dagli Accordi sul nucleare iraniano e, nel gennaio del 2020, autorizza un attacco con drone che porta all’uccisione del generale Qasem Soleimani, uno dei personaggi di spicco delle forze militari iraniane
Fra 2019 e 2020 Trump subisce un primo procedimento di impeachment (andato a vuoto), che lo vede accusato di pressioni sul governo ucraino per indagare su Hunter Biden, figlio dello sfidante democratico alle Presidenziali del 2020, Joe. Il 2020, come purtroppo sappiamo molto bene, vede poi il mondo intero travolto dalla pandemia di COVID-19.
Trump inizialmente, come peraltro buona parte delle amministrazioni occidentali, sottovaluta la minaccia, ritenendo più importante salvaguardare l’economia; tuttavia, anche quando la potenza del virus si manifesta in tutta la sua drammaticità, Trump continua a non prendere provvedimenti adeguati quantomeno a livello sanitario, venendo successivamente accusato di aver contribuito non poco al diffondersi dell’epidemia negli Stati Uniti. Trump vara anche un enorme pacchetto di stimoli economici, che si rivela però insufficiente.
In seguito alla sconfitta elettorale contro Biden, Trump si rifiuta di riconoscere la vittoria dello sfidante democratico e promette battaglia su tutti i fronti, legale e non solo
La questione culmina nei fatti del 6 gennaio 2021, dove manifestanti pro-Trump assaltano ed occupano il Campidoglio a Washington. A seguito dei fatti, Trump viene bannato dai social e, cosa più importante, viene sottoposto ad un secondo procedimento di impeachment, raggiungendo il poco invidiabile primato di essere il primo Presidente a subire due volte la messa in stato d’accusa. Trump peraltro non si è mai dato per vinto, continua a promuovere cause legali in tutto il Paese ed a rifiutarsi di riconoscere la vittoria di Biden. Difficile dire se lo faccia perché realmente convinto di aver subito un furto o utilizzi il tutto come strategia elettorale in virtù di una possibile ricandidatura nel 2024, ma non ci stupiremmo se si trattasse di entrambe le cose.
Trump infatti, a meno di eventi successivi a questo podcast, ha ancora tutte le carte in regola per ricandidarsi ad un secondo mandato, avendo peraltro dalla sua parte un considerevole numero di elettori ed una rilevante parte del suo Partito, incapace di trovare un’altra figura dello stesso peso del tycoon. E’ insomma verosimile che sentiremo ancora parlare di Donald Trump.
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