Lyndon Johnson, presidente in chiaroscuro
Lyndon Baines Johnson nasce a Stonewall, Texas, il 27 agosto 1908. Dopo aver frequentato le scuole con profitto ed aver svolto diverse mansioni anche umili, si avvicina alla politica nel 1931.
L’anno dopo, quando Roosevelt viene eletto Presidente, Johnson si dimostra un fervente sostenitore del New Deal, aiutando anche il Presidente a mettere in pratica alcune delle riforme previste da questo mastodontico piano. Nel 1935 Roosevelt lo mette a capo National Youth Administration del Texas, un’agenzia creata grazie al New Deal che si occupa di creare opportunità educative e lavorative per i giovani.
Nel 1937 Johnson viene eletto alla Camera dei Rappresentanti, dove si dà da fare in particolare per la riqualificazione delle aree rurali del suo Stato. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale il nostro parte per il fronte del Pacifico, dove partecipa a diverse missioni di combattimento e di ricognizione aeree, tanto da guadagnarsi una medaglia al valore per il coraggio dimostrato. Al ritorno dal conflitto, nel 1948, Johnson si candida al Senato, dove sconfigge l’ex Governatore del Texas Coke Stevenson. Ben presto diventa un personaggio di assoluta preminenza in Senato fra i Democratici, tanto da divenire il loro leader di maggioranza in quel ramo del Congresso.
Nel 1960 si candida alle primarie del Partito Democratico per correre alla Presidenza
ma viene inaspettatamente sconfitto dal rampante John Fitzgerald Kennedy; si consola venendo riconfermato al Senato e, soprattutto, venendo scelto come Vicepresidente. Alla morte di Kennedy, Johnson giura come nuovo Presidente. In politica interna, Johnson beneficia delle ottime riforme iniziate da Kennedy, nella cui scia il nuovo Presidente si inserisce: uno degli atti fondamentali del nostro è quello di riprendere il disegno di legge presentato da Kennedy sui diritti civili nel 1963, portandolo a compimento nonostante la feroce opposizione da parte del Congresso.
A parte il fondamentale Civil Rights Act, nel primo anno della sua Presidenza il nostro cerca sostanzialmente di non fare danni, ma dopo la rielezione nel 1964 Johnson decide di fare sul serio e presenta un programma di riforme noto come Great Society, con il quale fra le altre cose dichiara pubblicamente guerra alla povertà.
Per compiere la sua missione amplia i programmi già concepiti da Kennedy, concependo nuovi piani di formazione per giovani e poveri, elargendo sussidi a ragazze madri, ampliando i beneficiari di buoni pasto nelle aziende, dando impulso alla realizzazione di infrastrutture, rivoluzionando il sistema sanitario e potenziando sensibilmente i fondi per l’educazione scolastica; si inserisce dunque anche qui nel solco delle riforme efficacemente concepite dal predecessore, sostenendole, ampliandole ed anche innovandole ove possibile-
Dove la Presidenza Johnson conosce il sapore amaro dell’errore è la politica estera
fervente anticomunista e convinto sostenitore della teoria dell’effetto domino, secondo la quale consentire l’avanzata comunista in un Paese rischia di causarla anche altrove, il Presidente imprime agli Stati Uniti d’America una svolta epocale: in seguito ad un incidente navale mai del tutto chiarito noto come Incidente del Golfo del Tonchino, Johnson fa infatti approvare dal Congresso una risoluzione che gli concede pieni poteri per gestire la situazione emergenziale; grazie ad essi, il Presidente approva i piani del generale William Westmoreland per una escalation in Vietnam; se Kennedy, prudentemente, aveva ampliato il personale militare nell’area senza però lasciarsi coinvolgere in un conflitto aperto, con Johnson l’America entra invece pienamente nella guerra che costituisce ancora oggi la sua più grande macchia in politica estera.
Alla fine del conflitto, dieci anni dopo, gli americani conteranno ben 58.000 vittime e 300.000 feriti, alcuni dei quali in modo gravissimo.
La Guerra del Vietnam monopolizza di fatto il secondo mandato di Johnson, offuscando anche alcuni ulteriori, importanti atti che il nostro fa approvare. Dopo la devastante offensiva del Tet del 1968, Johnson tenta di intavolare trattative di pace, che però falliscono, secondo alcuni anche a causa dell’intercessione del futuro Presidente Richard Nixon, simbolo di una parte del Partito Repubblicano che intende invece proseguire il conflitto. Con la sua popolarità clamorosamente in declino e manifestazioni di protesta contro la guerra che si tengono in tutta la Nazione, Johnson sceglie di non ricandidarsi per un terzo mandato, benché in teoria ciò sia possibile dal momento che il primo mandato, susseguente all’assassinio di Kennedy, era durato meno di due anni.
Johnson si ritira quindi a vita privata e muore per un attacco di cuore il 22 gennaio 1973, all’età di 64 anni.
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