Il futuro è nella diversità
Nella società della performance, come viene definita dai sociologi e dai filosofi temporanei, l’omogeneità a dei modelli standardizzati sta evidenziando enormi criticità.
In una società performante come quella in cui viviamo tutto ciò che è diverso, che si scosta leggermente da ciò che riteniamo normale, crea panico e diffidenza. Vediamo mamme paralizzate dalla paura perché il proprio neonato che dovrebbe essere lungo 54 cm è soltanto 48 cm benchè mangia e dorme regolarmente. Insegnanti che insistono sulla necessità di portare a termine il programma scolastico incolpando le vacanze e i giorni dedicati alle gite formative di far perdere tempo prospettando ai ragazzi delle lacune perenni.
Manager aziendali di imprese private e statali che standardizzano i test di assunzione utilizzando schemi sempre identici da anni espressione di competenze solo scritte e poi tutte da dimostrare. Queste sono solo alcune delle caratteristiche della società della performance che basa tutta la sua crescita e il suo sviluppo sul raggiungimento degli stessi obiettivi, nello stesso tempo, di tutti gli individui.
In tutto questo schema standardizzato la diversità viene messa alla porta. Viene vista come qualcosa di spiacevole, di drammatico e mancante di qualcosa.
Genera quindi sentimenti di pietà, compassione e talvolta odio
Partendo da queste considerazioni e prendendo spunti da alcuni studi del Scientific American e di Harvard, alcune aziende oltreoceano come Ibm, Hewlett Packard, Ford, Microsoft e SAP, hanno provato a rompere un pò questi schemi di performance standardizzati e di tendere ad un miglioramento degli standard e di competitività incrementando le diversità sia nelle risorse umane che in quelle comunicative e tecnologiche.
I manager si sono accorti che cambiando il modo di comunicare gli obiettivi aziendali, utilizzando non più la classica mimica vincente e il classico tono trionfalistico, hanno ottenuto più attenzione e sono riusciti a comunicare anche a quei dipendenti con maggiori difficoltà relazionali e/o sensoriali che venivano invece disturbati o intimoriti da un certo modo di parlare e di atteggiarsi.
Il risultato è stato un miglioramento generali delle condizioni di vita e salute all’interno delle Aziende ed una miglior risposta in termini produttivi ed innovativi da parte dei dipendenti.
Allo stesso modo, abbiamo già avuto modo di parlarne nell’articolo Quale inclusione?
le scuole che hanno cominciato ad adottare metodi didattici non basati esclusivamente sulla comunicazione di nozioni che facilmente evaporano nel breve tempo dell’interrogazione o della verifica stagionale, ma su basi inclusive rispettando le tempistiche di sviluppo neurobiologico di ogni ragazzo adottando metodi di apprendimento basati sull’esperienza e sulla conoscenza condivisa (ad esempio il metodo Montessori), hanno evidenziato il maggior rispetto tra ragazzi con diverse abilità e una maggiore disponibilità di tempo per venire incontro alle necessità di ognuno. Col tempo questa disponibilità di tempo e bisogni porta i ragazzi a diventare adolescenti più attenti a tutte le tematiche, non solamente culturali, ma anche ecologiche e politiche.
Sempre in questo studio del Scientific American si cita l’esempio di come una persona con neurodiversità eletta tra le file dei Democratici, renda i compagni di partito più sensibili e più attenti alle sue tempistiche senza sentirsi necessariamente in ritardo o non conforme a degli standard. Stesso discorso è stato riscontrato nelle file dei Repubblicani dove un eletto neurodiverso ha portato maggior serenità di dibattito politico creando le opportunità di intersezionalità.
Il Punto fondamentale quindi rimane il seguente: quando il pensiero mainstream si renderà conto che il mondo culturale, politico ed ecologico sta virando verso un altro obiettivo e che la standardizzazione della performance non è più neanche di moda?
Sitografia:
HBR.org, ScientificAmerica, IlSole24.
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