Lazio

Marcello Montibeller, Alba Rosa e scritte antisemite

Riflessione di Marcello Montibeller, Presidente di Alba Rosa, a seguito del violento accaduto delle scritte antisemite comparse davanti ad alcune scuole della città di Pomezia.

Come da tradizione SenzaBarcode, siamo soliti ospitare riflessioni e approfondimenti, oggi pubblichiamo un artivolo di Marcello Montibeller, presidente di Alba Rosa. Nata da pochissime settimane, l’associazione verrà presentata con un evento il 6 marzo 2020 a Pomezia. A fondo pagina i riferimenti.

Davanti ad una scuola di una città industriale della provincia romana, lontana settantacinque anni e circa duemila chilometri dalla caduta del nazismo, compare improvvisamente la scritta “calpesta l’ebreo”. Segue su un muro “Anna Frank brucia”.

Ammettiamolo: il primo fondamentale elemento da mettere in rilievo, se non ci fosse l’assoluta inaccettabilità del contenuto, sarebbe il surrealismo della faccenda. Il contro tempo, il sentimento del contrario che in genere suscita il comico. Quale mano si lascia mobilitare ad un’azione così priva di senso? Perché? Perché ora? Perché in questo luogo? Si immaginano occhi bovini intenti alla difficoltosa opera, che si presume per essi non immediata, della scrittura, e si resta sul filo tra il ridere e il piangere, tra l’arrabbiarsi e il compatire. Ma v’è sempre la questione, spinosa, del contenuto, di ciò che le scritte dicono: l’orrore nella sua forma più pura, assoluta, insensata, che tenta di riabilitarsi davanti ad una scuola. E allora si rimane di sasso.

Guardo queste scritte, che sono un agglutinato di violenza e di stupidità, e non riesco a capire immediatamente dove lo stupido ceda il passo al violento, e dove il violento completi l’opera dello stupido. Mi fermo a pensare e, ripercorrendo lontane letture, ricordo che il rapporto tra stupidità e violenza è l’elemento perturbante che anima, e che anima angosciosamente direi, una buona parte della migliore letteratura sul nazismo.

Un tema ricorrente per chi ha tentato di guardare il vuoto insondabile della realtà personale dei criminali nazisti è infatti l’immagine dell’insulso, del mediocre, in ultima analisi del cretino. Un’immagine che vira quasi verso quella peculiare versione del comico che è il grottesco, e farebbe quasi affiorare il riso, subito prima che la coscienza di ciò che fu fatto ci agghiacci e ammutolisca.

Che sia l’ottuso contabile del massacro che Hannah Arendt legge in Eichmann

e che espone ai suoi giudici le cifre dell’abominio senza alcuna emozione umana leggibile, con occhio vitreo e vuoto di pensiero, ma senza mai dimenticarsi di scattare in piedi ogni volta che annuendo deve dire ai suoi giudici “jawohl” [certamente – ndr]; che sia il “polpettone di stupidità” che Claudio Magris legge nello stolido sorriso di Mengele mentre, riferendosi a folli quanto inutili esperimenti condotti su donne e bambini inermi, ripete al suo mortificato e coatto aiutante (un medico prigioniero costretto, pena la morte, a collaborare) “es geht immer weiter, mein freund, immer weiter” [andrà avanti per sempre, amico mio, per sempre –ndr] ondeggiando il capo soddisfatto; che sia il tronfio Albert Speer che, scampata la forca, cerca di far colpo su una ragazza andata ad interrogarlo sulla manodopera schiava impiegata nei suoi cantieri parlandole della magnificenza dei progetti peri cui veniva impiegata, e di cui leggiamo negli epistolari di Primo Levi…

In ognuno di questi casi la maschera del carnefice è inequivocabilmente la maschera dell’idiota. Eichmann, durante il processo che lo condannerà a morte, arriva perfino a rispondere seriamente al pubblico ministero che spazientito da questo suo scattare in piedi esclama un: “ma lei è forse stupido?!”. E poiché non coglie il sarcasmo e l’intemperanza scatta ancora una volta improvvidamente in piedi e gli risponde, serio: “credo di no”. E si risiede composto.

Se ne ricava che a segnare una delle pagine più buie della storia umana non è stata la malvagità di un genio perverso, né una superiore, sebbene votata al male, capacità politica di un’elìte corrotta; niente affatto: è stato l’incontro tra un insieme complesso di condizioni storiche predisponenti, l’incapacità di una classe dirigente di interpretare il momento storico in cui si trovava, la miopia di un estabilshment industriale che ha ceduto alla lusinga dell’ordine e la volenterosa manovalanza senza autocoscienza di moltitudini di individui passivi guidati da attivi cretini patentati; la qual cosa, a ben vedere, apre una domanda tanto sulla condizione umana in generale, quanto sulla natura del cretino in particolare.

La apre nel senso che mostra la capacità di essere manipolate che l’insoddisfazione senza prospettive, il vuoto, l’incertezza, la paura, il senso di sconfitta, possono indurre in grandi masse di persone fino a sopprimere tanto la funzione mediata del senso critico (la prima a cadere), quanto quella immediata dell’empatia (l’ultima a cadere ma, dopo la cui perdita, non esiste più limite a ciò che può essere detto e fatto). La apre nel senso che mostra la somma pericolosità politica del cretino: perché con il cretino, che nelle sue convinzioni è in perfetta buona fede e che ad esse crede con la totale irremovibilità con cui solo un cretino può credere in sé stesso, non è possibile alcuna mediazione, né alcuna discussione. Il problema della condizione umana, diceva Russell, è che i cretini sono pieni di certezze, mentre le persone intelligenti sono piene di dubbi.

Raramente affermazione fu più veritiera

Il cretino politico è l’applicazione alla realtà, per sua natura complessa e incerta, di un principio di semplificazione e certezza incrollabile; il cretino politico, tipicamente selezionato in basso (non dal basso, si badi bene), è così convinto di ciò che rappresenta che lo agisce con l’ineluttabile meccanicismo di un automa, perché egli anzi, tipicamente, da cretino qual è, disprezza la mediazione, la moderazione, la ponderazione.

Il cretino agisce, ed agisce senza freno e senza dialogo; agisce la sua battaglia contro i mulini a vento poiché il cretino ha sempre un complotto da sventare, un nemico da eliminare, e la agisce a dispetto di tutto se non –e questo il cretino in genere lo preferisce- contro tutti. La grundligkeit, la radicalità e, si badi, in lingua tedesca proprio nel senso del radicamento nel terreno delle proprie convinzioni, che i criminali nazisti si attribuivano è la cifra politica del cretinismo.

Ora, se ha ragione, come ha ragione, Marx a dire che “la storia la prima volta è tragedia e la seconda volta è farsa”

l’autore delle scritte non è propriamente un cretino, bensì è, più specificamente, la farsa di un cretino. Insomma: una marionetta, un pupo, un quaquaraquà, un bimbominchia.

Quindi possiamo riderne liberamente? No, non è così semplice. Perché purtroppo farse di regimi, guidati da farse di cretini (avete mai provato a sentire quali ondate di farsesca cretineria si abbattono da un discorso qualunque di un qualsiasi dittatore sudamericano? Tipo Videla, Galtieri, Pinochet?). Hanno soppresso coscienze e mobilitato masse con effetti devastanti sulla vita civile di intere nazioni, per decenni, più e più volte nella storia recente. Il cretinismo è un virus mortale, contagiosissimo, e bisogna vaccinarsi. Sempre.

Certo, i virus diffondono tanto più quanto più inadeguate sono le misure profilattiche con cui li teniamo a bada. E questo apre la questione di come vaccinarsi dal cretinismo; questione che, in altre parole, si può riformulare come il tentativo di evitare calarsi nel ruolo di favorente la nascita del cretino, di cui parla il detto popolare quando dice: “la mamma dei cretini è sempre incinta”. Occorre perciò, a ben vedere, sondare i comportamenti cretinogeni al fine di evitarli e persuadere ad evitarli o almeno, laddove questo non sia possibile, tenersene a debita distanza. Ad esempio, è palesemente cretinogeno equiparare i campi di sterminio nazisti a qualsiasi altra forma concentrazionaria o a qualsiasi altra forma di sopraffazione dei diritti umani che si manifestò nella seconda guerra mondiale.

Drammaticamente cretinogeno è immaginare una politica bipartisan dell’orrore che affianchi commemorazioni a commemorazioni diluendo la specificità degli eventi storici

Altrettanto cretinogeno è non formare una consapevolezza di orrori vicini che dovrebbero aprire qui da noi quel dissidio di coscienza che consapevolezze analoghe aprirono in Giappone, per fare un esempio: e mi riferisco al fatto che quasi nessuno conosce nomi come Arbe-Rab, Solluch, Nocra, e gli altri nomi dell’universo concentrazionario non tedesco, ma italiano, fascista, nei territori occupati e nelle colonie, al fatto che quasi nessuno sa cosa siano l’iprite ed il fosgene e come e quando, e contro chi furono usati dalla generazione dei nonni dei cinquantenni di oggi (e volutamente non lo spiego in questa sede, così magari ogni tanto internet lo si usa per cercare qualcosa che non sia solamente il complotto Bilderberg o il numero degli sbarchi dei “clandestini”).

Spudoratamente cretinogeno è che molti ragazzi non sappiano cosa sia successo a Brescia, alla Stazione di Bologna, a Piazza Fontana, sul treno Italicus. Preoccupantemente cretinogeno è crogiolarsi nella a sua volta cretinogena –e pure un po’ cretina in sé stessa- retorica della post-ideologia, per ridurre la comparsa delle scritte ad una questione di opposte fazioni o tifoserie rifiutando con ciò di prendere posizione su un contenuto specifico. Cretinogeno è tutto questo perché crea falsa memoria, falsa coscienza, riduzione del discernimento e delle distinzioni e con ciò humus per la nascita del cretino.

Ma è cretinogeno anche farsi perennemente dettare il linguaggio e l’agenda politica su priorità e scadenze altrui, inseguendo l’avversario sul proprio terreno in una perenne riduzione del proprio spazio culturale, se la cultura di cui ci si vuole far portatori è la cultura dell’umanesimo, della scienza, dell’inclusione, del dialogo.

E allora è colpevolmente cretinogeno cessare di affermare che senza l’apporto islamico medioevale

e senza l’apporto degli esponenti intellettuali delle comunità ebraiche tra ottocento e novecento non esisterebbe semplicemente la modernità; è cretinogeno non smentire chi ciancia di preservazione dell’identità culturale italiana non ricordandogli il fatto che la cultura italiana fu grande fintanto che fu cosmopolita, che Firenze, Venezia, ad esempio, animarono la cultura europea del rinascimento perché luoghi di incontro, commistione, circolazione di pensiero, persone, merci.

È cretinogeno perciò smettere di affermare che noi una società multietnica non solo non la temiamo, ma la vogliamo, perché è principio costantissimo nella storia che è proprio dalla contaminazione che nasce la produzione di cultura nuova e di benessere; è sommamente cretinogeno tacere la mattanza che avviene nel Mediterraneo e vantarsi di essere stati un “governo con pochi sbarchi” perché questo piace all’elettorato.

È cretinogeno unirsi al coro di chi dice di “aiutare a casa loro”, senza invece riaffermare che questa società dei consumi si regge esclusivamente grazie allo sfruttamento selvaggio di risorse e persone della parte più povera del mondo da parte di quella più ricca, e che il disordine, il malessere, i conflitti che ne derivano, gettano l’ondata di disperazione sul mediterraneo che noi lasciamo affogare condannandoci, con la nostra inerzia, davanti agli occhi delle generazioni che verranno; è cretinogeno non dire che mettere in discussione questo è mettere in discussione un intero modello di sviluppo.

È cretinogeno aver smesso di farsi portatori di uno sviluppo diverso

di un concetto diverso, umanista, di ricchezza. Colpevolmente cretinogeno è tutto il terreno che da progressisti, per timore del confronto con il tema del consenso, abbiamo lasciato al linguaggio della paura, dell’irrazionalismo, del populismo. Il povirazzo, per dirla con Camilleri, che traccia la scritta infame, è solo il sottoprodotto della cessione permanente dell’ambizione perduta di un’egemonia culturale umanista.

Il sottoprodotto del nostro stare in panchina, del nostro rivedere e subordinare la nostra cultura per persuadere una pancia collettiva che non riusciamo a sostituire con una testa e con un cuore. In questo, quelle scritte le ha fatte anche un troppo lungo silenzio, una troppo lunga assenza di alternativa. Scendiamo in piazza a testimoniare una società più sana, ma a patto di ricordarcene quando dovremo stilare con parole altre, un’agenda politica nuova.

Associazione Alba Rosa:

Sede Sociale: via Ugo La Malfa, 19/b – 00071 Pomezia (RM)
C.F. 96444790586
Presidente: Marcello Montibeller
Responsabile Comunicazione: Eleonora Napolitano 
Segreteria organizzativa: 3498681403 – eleonora.napolitano85@gmail.com.

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