Cronaca

Farmaci biosimilari e i loro originator. CReI

Si chiudono oggi i lavori del XXII Congresso Nazionale del Collegio Reumatologi Italiani (CReI). Sì o no allo switch? Qual è la posizione del CReI a riguardo? Si può ragionare solo in termini di risparmio?

Si chiudono oggi i lavori del XXII Congresso Nazionale del Collegio Reumatologi Italiani (CReI) tenutosi presso le sale dell’NH Hotel Villa Carpegna di Roma. Tra i temi di discussione dibattuti da illustri esperti nazionali e internazionali, si ritorna anche sull’annosa questione che mette a confronto i farmaci biosimilari e i loro originator: sì o no allo switch? Qual è la posizione del CReI a riguardo? Si può ragionare solo in termini di risparmio?

Cominciamo a indagare quali sono gli intenti dei reumatologi del CReI. «Nel 2016 avevamo già pubblicato la nostra Position Paper (PP) relativa all’immissione dei farmaci biosimilari e al loro utilizzo. Avevamo sottolineato come l’importanza di una condotta appropriata possa consentire ai pazienti l’accesso alle cure salvaguardando l’eguale diritto di tutti i cittadini ed evitando i danni disabilitanti delle patologie grazie a una terapia adeguata e soprattutto precoce.

Ricordo che con il concetto di appropriatezza in senso lato si deve intendere la risultante del complesso percorso virtuoso che unisce l’appropriatezza organizzativa e prescrittiva degli stessi centri prescrittori: l’unione delle due è una costante fonte di risparmio e di efficienza per il SSN», premette Gilda Sandri, Vicepresidente del CReI e reumatologa presso la Struttura Complessa di Reumatologia dell’Azienda Universitaria-Ospedaliera Policlinico di Modena.

«Oggi», continua la Vicepresidente CReI, «presentiamo ai colleghi presenti la nostra Position Paper 2.0

rafforzando ancor di più i concetti già espressi nel primo documento, e in linea con la pubblicazione della Position Paper dell’AIFA sull’uso dei biosimilari che sostiene che sono intercambiabili sia per i pazienti naive sia per quelli già in cura con gli originator». E, ancora una volta, il CReI ribadisce di non guardare all’utilizzo dei biosimilari come unica fonte di risparmio economico, sottolineando la necessità di creare un percorso condiviso per trovare insieme le migliori strategie che garantiscano ai cittadini l’appropriatezza terapeutica, al clinico la libertà prescrittiva e agli enti pubblici la sostenibilità economica.

Ma lo switch dall’originator al biosimilare può essere proposto a tutti i malati reumatici? «Tutte le terapie vanno condivise con il paziente. Se il clinico gli propone uno switch è perché i dati dimostrano che lo si può fare, ma avere il suo consenso è fondamentale. Ai pazienti va spiegato per bene cosa vuole dire biosimilare, non deve passare il messaggio che è un farmaco meno efficace», sottolinea Gilda Sandri.

L’impatto delle malattie reumatiche

che colpiscono più di 5milioni di italiani, e i costi sociali ed economici correlati di tali terapie sono altissimi: assorbono lo 0,2% del Pil. L’alternativa tra farmaci biologici e biosimilari investe il tema della sostenibilità del SSN nazionale quanto quello di ogni singola Regione, per le quali l ‘introduzione dei biosimilari è stata vista come fonte di risparmio. E come tale da favorire il più possibile. Molte Regioni si sono orientate all’obbligatorietà della prescrizione del farmaco più “economico”, altre insieme ai clinici e alle associazioni pazienti hanno individuato raccomandazioni che conciliassero la libertà prescrittiva alla necessità di risparmio economico.

A titolo di esempio, osserva Gilda Sandri: «Sempre più segnali ci inducono a pensare che l’uso del Metotrexate in Italia, nel trattamento di quelle forme di artriti primarie ove sia indicato, parta da posologie troppo basse e non sia progressivamente aumentato sino alle dosi massimali consigliate, lasciando dopo pochi mesi, e a volte troppo presto, spazio a una terapia con biotecnologici. Se quest’ultimo comportamento è da un lato a rischio di inappropriatezza prescrittiva, dall’altra è troppo spesso pericoloso iniziare una terapia efficace troppo tardi, causando danni articolari disabilitanti e permanenti».

Ma quali sarebbero, secondo il CReI, le buone pratiche che possono definire la migliore appropriatezza prescrittiva e organizzativa?

«Bisogna ragionare nell’ottica della condivisione e della sinergia, prima di tutto. Senza la più corretta appropriatezza organizzativa sarebbe vana anche la migliore appropriatezza prescrittiva. Quindi, affinché la prima si riveli efficiente, ogni Centro dovrebbe garantire l’istituzione del registro paziente, magari mediante un software dedicato, producendo una reportistica periodica sui pazienti trattati e sui farmaci utilizzati; fare rete con le ASL e le Aziende Ospedaliere; avere un aggiornamento continuo da parte delle Società scientifiche del settore, al di fuori di contesti promossi dalle singole aziende farmaceutiche.

Introdurre un budget di spesa diretta e indiretta per i centri prescrittori al fine di responsabilizzarli al contenimento di queste»

afferma Gilda Sandri. Ma non è ancora tutto: «Compito del responsabile del Centro prescrittore è indubbiamente quello di essere attento all’appropriatezza prescrittiva dei propri collaboratori, di sovraintendere al loro aggiornamento professionale annuale, formandoli agli aspetti scientifici ma anche alle ricadute socio-economiche della propria prescrizione.

E’ ancora suo compito verificare quanto i prescrittori siano aderenti alle raccomandazioni delle Società Scientifiche nell’iniziare un trattamento con farmaci biotecnologici, ponendo attenzione alle controindicazioni al loro uso, alle avvertenze da segnalare al paziente ed al loro consenso concretamente informato, oltre che alla gestione della terapia di fondo che precede o concomita l’uso del biologico, sia esso originator o similare», conclude la Vicepresidente CReI.

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