Per Antonio Santoro. “Oggi come 40 anni fa, come oggi”
Pensando al maresciallo
Antonio Santoro, la prima vittima di Cesare Battisti. Di Massimo Filipponi.
Riceviamo e pubblichiamo.
Sono gli uomini della Polizia Penitenziaria a prendere in consegna Cesare Battisti nelle sale interne dell’aeroporto di Ciampino e poi a trasferirlo al carcere di Oristano. E fu un uomo della Polizia Penitenziaria anche la prima vittima dell’ex terrorista. Dopo più di 40 anni la nemesi della Storia giunge a compimento. Antonio Santoro aveva 52 anni e comandava, con il grado di maresciallo, il carcere di via Spalato a Udine.
Il 6 giugno del 1978 un commando dei “Proletari armati per il Comunismo” lo aspetta sotto casa: Cesare Battisti ed Enrica Migliorati fingono di scambiarsi effusioni e, subito dopo il passaggio dell’agente, il terrorista gli spara alle spalle tre colpi di cui due mortali alla nuca.
Poco dopo, nel volantino di rivendicazione intitolato Contro i lager di Stato, i “Proletari armati per il comunismo” scrivono che l’istituzione carceraria va distrutta perché “ha una funzione di annientamento del proletariato prigioniero” e di “strumento di repressione e tortura”.
A Santoro, Medaglia d’Oro al merito civile alla memoria
nel 2007 è intitolata la nuova caserma della Polizia Penitenziaria di Udine.
Saranno cambiati i mezzi a disposizione, i colori e i tessuti delle divise degli agenti di Polizia Penitenziaria ma i cuori che battono negli uomini che le indossano sono accomunati dagli stessi sentimenti: orgoglio, coraggio, professionalità e senso di giustizia.
Oggi come 40 anni fa, 40 anni fa come oggi.
Per questo nello sguardo dell’uomo che è ritratto dietro Battisti nella foto, e dei suoi colleghi che non lo perderanno di vista per tutto il tragitto fino al carcere, brilla una luce particolare. Non c’è solo un’espressione di fierezza, c’è la soddisfazione di fare il proprio dovere e di aver assicurato un assassino alla giustizia.
Quegli occhi adesso splendono della stessa intensità di quelli del maresciallo Antonio, che ancora ci guarda dalle pagine ingiallite dei giornali dell’epoca. E da oggi noi ci sentiamo un po’ meno in imbarazzo a ricambiare il suo sguardo.
Di Massimo Filipponi