Dal 18 ottobre nelle sale, Le Ereditiere
Travolgente, impegnativo, spudorato. Le Ereditiere, film di Marcello Martinessi, è un lavoro che lascia il segno. La paura della libertà e della propria forza.
Quando, all’uscita della sala Deluxe alla Casa del Cinema per l’anteprima, mi viene chiesto cosa ne penso de Le Ereditiere il primo aggettivo che mi viene in mente è impegnativo. Il primo lungometraggio del regista paraguaiano è decisamente travolgente. Ana Brun – Chela – vince il Leone d’Argento come migliore attrice, meritatamente. Margarita Irun – Chiquita – è il giusto contrappeso, come attrice e figura nel film. La storia è di quelle che vanno seguite fine in fondo, mai banale o scontata. C’è tutto, paura, sorpresa, amore, coraggio, paura. C’è tutto e il suo contrario.
Una casa polverosa, una macchina, un carcere
e poche altre locations dove sviluppare il film. Almeno fino a che non fa la sua comparsa Ana Ianova – Angy – che, fisicamente e metaforicamente, spinge Chela oltre i suoi limiti, le sue paure. Ma sopratutto la porta a riflettere se le paure sono realmente le sue, se è lei che desidera vivere in un tempo scandito tra pittura, vassoi di caffè, gazzosa e pillole.
“Sono cresciuto in un mondo modellato dalle donne: madre, sorelle, nonne, zie, vicine di casa” dichiara Martinessi per spiegare l’ispirazione del film. “Una delle mie zie aveva sempre con sé un vassoio, come quello che abbiamo usato nel film. Su quel vassoio aveva acqua frizzante, acqua naturale, caffè, un piccolo taccuino, il suo rosario, le sue pillole. Quel vassoio è diventato per me un punto di riferimento, un simbolo, una sorta di guida per le simpatie e le ossessioni della protagonista, una chiave per capire i suoi limiti. quel vassoio per me è il suo modo di relazionarsi con la sua cerchia interna, di misurare la forte contraddizione tra confort e controllo, che è fondamentale per la sua personalità.”
Quel vassoio è il grimaldello per esplorare la profondità de Le Ereditiere, ma anche per interrogarsi su noi stessi e i nostri limiti. Per chiedersi se, effettivamente, le routine e le paure della nostra vita ci appartengono.