Cronaca

Camerino, il silenzio di una vita interrotta

Viaggio nella zona rossa di Camerino, paese marchigiano gravemente lesionato dal terremoto, dove tutto, o quasi,  è fermo al 2016.

Camerino, 26 ottobre 2016. In pochi istanti la città subisce un terremoto che lascerà i danni di un bombardamento. Danni inflitti non solo a Camerino, ma a buona parte del territorio di Marche e Umbria, flagellato da numerose repliche. La più forte quella del 30 ottobre 2016, con epicentro a Norcia, di magnitudo 6.5. Una scossa che ha raso al suolo, quasi per intero, la Basilica di San Benedetto a Norcia, e lesionato gravemente il resto della città. Il simbolo di Camerino è sicuramente il campanile di Santa Maria in Via, chiesa gioiello del centro camerte, che nella notte del 26 ottobre si è appoggiato, crollando, ad un palazzo adiacente. Vuoto fortunatamente, perché la terra borbottava da ore, e tra le mura di casa nessuno si sentiva al sicuro.

Calzato l’elmetto, dopo aver mostrato i nostri permessi a due militari dell’esercito, entriamo nella zona rossa della città. Ci sorprende il silenzio e come la nostra voce riecheggia tra le vie deserte. Tutto è fermo, o quasi, a quella maledetta sera. Le macerie sono state per gran parte portate via, alcuni palazzi sono stati puntellati, altri sono evidentemente in attesa di essere demoliti. Quello che lascia smarriti sono gli attimi di vita che ancora si possono scorgere guardando attraverso le vetrine dei negozi, o dentro ai portoni rimasti aperti. Tavoli rimasti apparecchiati nei ristoranti, apparentemente ancora in attesa di clienti, vasellame sparso in un negozio inaccessibile, panni stesi ormai scoloriti dalle intemperie. Fotogrammi di vita.

Ogni cosa sembra essere cristallizzata e bloccata nel momento esatto della scossa

Incontriamo una signora accompagnata dai vigili del fuoco, che si avvia frettolosamente verso la sua casa, senza guardarsi intorno. La comprendiamo, perché vedere la propria città ridotta così deve essere una pugnalata al cuore. “Ci sono nata qui, e ci sono nati i miei figli. La mia casa è risultata agibile, ma purtroppo è attaccata a due abitazioni fortemente lesionate. Quindi man mano sto portando via tutto. Se domani aprissero tutto il centro storico io tornerei qui. Camerino non può morire così”. Lo dice quasi con le lacrime agli occhi.

“Non so se il Governo poteva fare di più, ma so per certo che la situazione è difficile e complicata. Nel centro storico di Camerino si sono salvate 34 abitazioni, che non sono comunque abitabili perché adiacenti ad edifici inagibili, proprio come la mia. Tutto il resto è inagibile. I controlli delle case sono iniziati dalla periferia, perché si pensava fosse meno lesionata. Invece, anche se all’esterno l’abitazione sembrava sana, una volta entrati ci si accorgeva che c’erano danni enormi. Molte case hanno subito questo destino”.

La signora è un fiume in piena, e vuole che si parli di Camerino, per non dimenticare

Non possiamo e non dobbiamo essere dimenticati. C’è gente che è rimasta qua con coraggio e vuole ripartire. Questa è la nostra terra e noi non ce ne andremo da qui.” Il coraggio di questa donna rappresenta il coraggio di un’intera comunità che è unita e compatta nella volontà di ripartire. “È un miracolo che non ci siano stati morti. Ma nel cuore ci sentiamo devastati come queste mura”. Lo capiamo perfettamente. Intorno a noi c’è tutta la paura che è stata provata quella notte, quando, come ci spiega la signora, la città è piombata nel buio e nel caos.

“La gente urlava, scappava impaurita. La luce era andata via e pioveva a dirotto. C’era una confusione assordante”. Ora è il silenzio ad essere assordante. Un silenzio che avvolge tutto in uno stato di calma surreale. Dopo aver salutato la signora e i vigili del fuoco, ritorniamo ad essere soli con il rumore dei nostri passi che riecheggiano per la città.

La natura sta riprendendo il controllo di Camerino, città lasciata a se stessa

Non c’è più nessuno che taglia l’erba, che curi le piante sui balconi, che tolga gli escrementi dei piccioni. La vegetazione e gli animali sembrano farsi beffe degli esseri umani che prima animavano questi luoghi. Le piante sono seccate, l’erba cresce rigogliosa, gli escrementi si accumulano. L’acqua nelle fontane non scorre più, i portoni di molte case sono semiaperti. Persiane penzolanti ci costringono a camminare in mezzo al corso principale, per evitare che ci cadano in testa. Passiamo vicino alle carcasse di un paio di automobili, distrutte dal peso delle macerie di uno dei palazzi dell’Università di Camerino.

Ovunque voltiamo gli occhi ci sono solo detriti e distruzione. “Un paio di volte sono entrato nella zona rossa di notte, per controllare che non ci fossero intrusi”. Ci racconta uno dei due militari che controllano il varco per il centro storico. “Si sentivano dei rumori strani. Girando mi sono accorto che provenivano da un citofono rimasto aperto, che ancora si sente. Può sembrare stupido, ma fa gelare il sangue. Anche i piccioni fanno lo stesso effetto, perché il loro verso rimbomba e fa sembrare tutto ancora più tetro”. Capiamo benissimo quello che ci sta dicendo il militare.

Questi ragazzi presidiano la zona dal 26 ottobre 2016, per scongiurare il rischio sciacalli

Portano dentro di loro i visi e le lacrime delle persone che hanno perso tutto e che per molto tempo non sono potute rientrare nelle loro case neanche per prendere poche cose. Lo sciame sismico, durato a lungo e molto violento, ha costituito un rischio enorme che ha impedito l’accesso alle abitazioni lesionate. Camerino è senza dubbio un gioiello degli Appennini marchigiani, che mostra la sua bellezza ancora oggi, nonostante le siano state inferte delle ferite molto profonde. C’è bisogno di una ricostruzione accurata e fatta con criterio, che possa far ripopolare presto Camerino, città universitaria, piena di vita e di cultura.

La terra continua ancora a tremare nelle Marche, l’ultima scossa di magnitudo 3.9 è stata registrata da pochi giorni, il  4 aprile, alle 20.41

Questo sciame così lungo tiene viva l’attenzione su questa terra, che ha bisogno di rinascere, in modo assennato e con le giuste misure antisismiche. Perché eventi del genere non seminino più la devastazione in cui abbiamo camminato per un’intera mattinata, e che ha di fatto bloccato la vita di centinaia di persone.

Giuseppina Gazzella

Classe 1984, marchigiana di nascita, cittadina del mondo per natura. Scrive e canta con la consapevolezza, la voglia e la pretesa di fare meglio ogni giorno, e di crescere sempre, perché sentirsi arrivati equivale all’essere morti.

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