Caso Djalali, condanna a morte sarebbe confermata
Pena di morte, caso Djalali. Fidu: l’Europa non sia complice del boia. Gli accordi di cooperazione accademica con l’Iran rischiano di costituire una minaccia alla sicurezza dell’unione.
Il caso di Djalali, il ricercatore iraniano residente in Svezia e condannato a morte nel suo Paese, ha assunto in queste ore contorni ancora più opachi e inquietanti, che riguardano sia la sua sorte che la volontà delle autorità iraniane di rispettare gli standard internazionali di base sul giusto processo.
La sua condanna a morte sarebbe stata infatti confermata in modo sommario il 12 dicembre dalla Corte Suprema, senza che all’imputato fosse garantito il diritto di difendersi.
Djalali è in stato di detenzione dall’aprile del 2016, accusato e condannato per spionaggio a favore d’Israele. In un documento manoscritto nel carcere di Evin e fatto fuoriuscire clandestinamente, il ricercatore denuncia il tentativo dei servizi iraniani di convincerlo a usare la propria posizione di scienziato accreditato in Europa per raccogliere informazioni sui siti nucleari europei.
In una lettera aperta rivolta all’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, la Federazione Italiana Diritti Umani – FIDU mette in guardia dal pericolo rappresentato per la sicurezza interna dell’UE dagli accordi bilaterali e multilaterali conclusi con l’Iran in ambito accademico. Si chiede inoltre che il SEAE muova un passo sulle autorità iraniane per ottenere chiarimenti sulla situazione giudiziaria di Ahmadreza Djalali e soprattutto perché usi tutti gli strumenti di pressione di cui dispone per indurre l’Iran a rispettare il diritto di Djalali di difendersi, in accordo con le disposizioni dei trattati e convenzioni internazionali di cui l’Iran è parte.
Il testo completo della lettera è disponibile sul sito www.fidu.it