Rara patologia del fegato, il NICE raccomanda l’acido obeticolico
Il NICE ha raccomandato l’acido obeticolico per la colangite biliare primitiva in Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord: si tratta del primo nuovo farmaco per la malattia in quasi 20 anni.
Se la Brexit spaventa i cittadini inglesi per le conseguenze sull’assistenza sanitaria, il National Institute for Health and Care Excellence (NICE), organismo del Ministero della Salute di Londra e punto di riferimento internazionale per lo sviluppo di linee guida cliniche, in prossimità della Festa della Donna ha dato una buona notizia alle pazienti.
Il NICE ha infatti raccomandato l’acido obeticolico, una molecola per il trattamento di una rara patologia del fegato che colpisce soprattutto le donne di età superiore ai 40 anni, per l’uso di routine del Servizio Sanitario Nazionale (NHS) in Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord. Il farmaco sarà disponibile ai pazienti entro 90 giorni dalla pubblicazione della valutazione finale.
Rara, cronica e progressiva, la colangite biliare primitiva (CBP) è una delle cause principali di trapianto di fegato nelle donne adulte
circa il 90% dei pazienti, infatti, è donna. Chiamata fino a un anno fa “cirrosi biliare primitiva”, ha cambiato nome proprio per la volontà, da parte della comunità scientifica internazionale, di sottolineare il fatto che si tratta di una malattia autoimmune che colpisce i piccoli dotti biliari del fegato, e per questo non legata all’alcol o a stili di vita non corretti.
C’è stato finora un bisogno clinico non soddisfatto per i pazienti che non rispondono pienamente alle attuali terapie o sono intolleranti, e che perciò rimangono a rischio di progressione della malattia verso la cirrosi, il trapianto di fegato o la morte. Ma dopo quasi vent’anni, nel dicembre del 2016, l’acido obeticolico ha ricevuto l’autorizzazione all’immissione in commercio nell’Unione Europea.
L’Italia ha avuto un ruolo essenziale nella storia di questo farmaco: il primo studio preclinico, infatti, è stato pubblicato nel 2002 sul Journal of Medicinal Chemistry da un team di ricercatori dell’Università di Perugia. Anche gli studi pilota, che sono proseguiti nel corso degli anni successivi per le diverse indicazioni cliniche, hanno coinvolto diversi centri italiani.
Proprio pochi giorni fa, la conoscenza di questa rara patologia ha fatto un grande passo in avanti
è stato infatti definito il primo dato epidemiologico italiano, con una prevalenza stimata di 28 casi su 100.000 e un’incidenza di 5,3 casi su 100.000 l’anno nel 2015. I numeri sono stati forniti dal prof. Domenico Alvaro, Ordinario di Gastroenterologia dell’Università “Sapienza” di Roma, che ha presentato il suo studio nel corso del 50° meeting annuale dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (AISF), principale momento di incontro della comunità epatologica italiana.
“Una pietra miliare nella storia della malattia”, ha commentato il prof. Alvaro. “Lo studio ha un notevole valore scientifico perché è stata usata una metodologia innovativa nel settore, e cioè studiare l’epidemiologia di una malattia coinvolgendo i medici di medicina generale e i loro assistiti. Riguardo ai risultati, c’è da mettere in evidenza come il rapporto femmine/maschi di 4,5:1 sia molto più basso di quanto comunemente si ritenga, ed in linea con studi epidemiologici condotti in altri paesi. Inoltre – prosegue l’esperto – la CBP risulta frequentemente associata ad altre patologie, per cui ancora una volta è necessario sottolineare come il trattamento di questa malattia debba tener conto delle comorbidità (es. diabete, malattie del connettivo ecc.), che impattano ulteriormente sulla qualità e durata della vita”.