Arte come cura omeopatica. L’immaginazione al potere
Economia e politica sono le colonne del potere. Entrambe hanno ricette note per garantire al mondo pace e prosperità. L’Arte come cura non è contemplata.
L’Arte come cura non è contemplata e i risultati sono in queste ore sulle testate di tutti i giornali, nella profusione di salotti televisivi che fanno la conta dei morti, delle ingiustizie sociali e del livello di terrore raggiunto a livello globale. C’è del marcio ovunque, non solo in Danimarca.
Il fallimento degli intenti dei padri fondatori delle nostre democrazie occidentali è dimostrato dall’imperturbabile ciclicità degli eventi: crisi, piccola ripresa, stallo. E poi di nuovo crisi sempre più lunga, seguita da una sempre più piccola ripresa. Il mio medico di famiglia mi spiegò che invecchiando le cellule si riproducono in modo sempre meno preciso. Per questo ci si ammala più facilmente e più a lungo. Il mondo è giunto alla sua terza età? Le cure si stanno dimostrando sempre meno efficaci. Il periodo di malattia si allunga. L’economia è la medicina ufficiale, specializzata nell’accanimento terapeutico con sostanze sempre più tossiche. Non c’è spazio e non c’è fiducia nelle cure alternative.
Il Teatro e l’Arte sono trattamenti omeopatici
L’arte come cura è un trattamento alternativo. Ma si tratta di una terapia ancora poco rispettata essendo, fuori da ogni metafora, un vero e proprio trattamento omeopatico.
L’omeopatia cura le patologie per mezzo di note sostanze che in maggiori quantità indurrebbero proprio quegli stessi sintomi. È come curarsi il mal di testa con una piccola capocciata. Però funziona, dicono.
Prendiamo il teatro di denuncia. Quando vediamo rappresentati in scena i mali del mondo, proviamo emozioni forti come la paura, la disperazione e il dolore. Ma in realtà nessuno si fa davvero male. Gli attori tornano a casa contenti. Gli spettatori tornano a casa soddisfatti. E si spera cambiati in meglio. Il teatro è per questo una cura omeopatica. Riproduce quei sintomi che nella realtà porterebbero a disgrazie insopportabili. Ma il dosaggio di uno spettacolo, generalmente serale, è tale da indurre una pronta risposta immunitaria per tutti quei mali reali che ci attendono fuori del teatro.
La sua funzione è poco riconosciuta e ancora poco rispettata. Però funziona, dico.
Immaginazione al potere
Sul finire degli anni ’60 del secolo scorso gli studenti ripetevano a gran voce lo slogan di Herbert Marcuse: immaginazione al potere. Dopo cinquant’anni vorremmo ancora dare all’immaginazione dei giovani quell’opportunità negata. Ma il sistema teme l’immaginazione e l’Arte. Al massimo se ne appropria come avveniva tra i generali vincitori quando trafugavano opere d’incalcolabile valore, considerandole bottino di guerra. Il potere può anche svolgere funzione di Mecenate, ma allora il patto è sancito e l’artista sotto contratto non sarà più libero. Non sarà più artista perché l’immaginazione al potere non può trasformarsi nell’immaginazione con il potere.
Le biografie dei dittatori sono piene di riferimenti alla loro passione per la musica, per il teatro, per la pittura e per la danza. Ma si tratta di soggetti borderline o veri e propri psicopatici. I dittatori di ieri e i governanti di oggi erano e sono incapaci di empatia e integrazione. Per loro è impossibile lasciar fluire il significato e gli effetti della bellezza e dell’armonia. Impensabile per loro integrare questi valori, per sciogliere quel disturbo di asocialità e disprezzo del genere umano che li distingue.
Nel mondo ideale, sarebbero i grandi artisti a circondarsi di persone davvero sagge e competenti nella gestione della cosa pubblica. Ora non è così, ma noi possiamo farci coraggio e confidare nel potere della nostra immaginazione, affinché davvero un giorno l’immaginazione possa salire al potere. E restarci.