D’Alema e Pd, la resa dei conti parte da Roma
D’Alema con la vicenda dell’assessorato a Tomaso Montanari parte all’attacco del potere renziano, i sintomi di una resa dei conti che parte da Roma.
La vicenda che riguarda l’eventuale assessorato a Tomaso Montanari, se dovesse vincere il ballottaggio Virginia Raggi del M5s, ci porta a fare due importanti considerazioni. La prima è che a dispetto della vulgata che si vuol far passare il M5s non è composto principalmente da incapaci e sprovveduti. E’ capace non solo di attirare i mal di pancia ma anche parte dell’elettorato che ragiona e proporsi come forza di governo. Altra considerazione ormai sotto gli occhi di tutti è che le amministrative che si concluderanno domenica 19 giugno con i ballottaggi in alcune delle principali città italiane non sono affare solo locale, come vorrebbe far credere il Premier Matteo Renzi che rischia di ricevere un sonoro schiaffo alle urne.
Il M5s questo lo ha compreso molto bene visto che si accinge non solo a raccogliere il voto popolare in quelle aree meno avvantaggiate dal “sogno renziano”, ma ad aggredire il Pd nella sua stessa area di influenza destando dal torpore l’ala minoritaria dei democrat che può vedere luce solo da una sonora sconfitta di Renzi. E’ ridicolo voler spacciare come vera la storiella che bisogna litigare dentro casa per marciare uniti fuori. D’alema ha marciato sempre nella direzione che a lui interessava e non cambierà certo oggi, ma potenzialmente può aggregare una parte cospicua di mal contento interno che non trova appigli altrove.
A Roma si presenta il conto
Le amministrative romane sono lo specchio della situazione odierna del Pd, talmente comprensibile che anche non inciampandoci sopra è impossibile non vedere. Parliamo del vecchio partito di potere che ha gestito le vicende romane da più di vent’anni, dal Modello Roma al disastro Rutelli nel 2008, vicende non certo sconosciute a Massimo D’Alema. Già allora si comprendeva la portata del potere democrat che non ha mai mollato la presa, che riusciva a vincere e a perdere in solitaria tra cordate e correnti.
E’ solo grazie alla Procura di Roma se si solleva un po’ di nebbia sugli intrecci del malaffare, e possiamo tranquillamente dire che sugli ultimi avvenimenti denominati Mafia Capitale la politica non ha toccato palla assumendosi un ruolo e meriti a parole che non ha avuto nei fatti. Semplicemente è rimasta spettatrice passiva di una tragedia che si svolgeva sotto i propri occhi mentre una fetta consistente dei suoi affiliati finiva nel calderone.
Certo, il sindacato ispettivo dell’opposizione ha potuto alimentare con ulteriori ingredienti bizzarri e grotteschi il pentolone ormai scoperchiato dagli inquirenti, mentre la maggioranza goffamente procedeva con sfondoni rimasti epici come quelli di Matteo Orfini che abbinava la richiesta di dimissioni di Ignazio Marino ad una fantomatica linea della Mafia. Poi si è scoperto che era la linea ufficiale del Pd con buona pace dei mafiosi a cui probabilmente non fregava nulla del sindaco. Considerati questi precedenti è a Roma che parte l’attacco del M5s al core business del Pd, ovvero il governo. I pentastellati lo sanno e non possono fallire, su Roma più che Torino si concentrerà lo sforzo di Luigi Di Maio per la sfida a Palazzo Chigi, e la giovane età non tragga in inganno, il ragazzo ha voglia di arrivare e chi lo aiuta non è da meno.
D’Alema prova a riprendersi il Pd
In questa guerra tra Pd renziano e M5s provano ad inserirsi i dissidenti interni al Pd come Massimo D’Alema ormai spodestati da tempo e che vedono in questa sfida e nel crollo del potere renziano una nuova opportunità di scalata. Sanno bene che capi e capetti del Pd sono molto sensibili al potere e che quindi nell’eventuale caduta dal pendio del Premier molti son già pronti a sganciarsi dalla cordata per non finire a valle capaci di contorsioni tali da far dimenticare un attimo dopo la difesa fatta a spada tratta di un attimo prima. Non per nulla abbiamo citato il buon Orfini. Insomma, il M5s si gioca il tutto per tutto, dovrà normalizzare la situazione romana il che significa ripartire dalla valutazione oggettiva degli sprechi.
Il pentastellato Daniele Frongia parla di un miliardo e 200 milioni, e se ciò fosse vero vanno recuperati chiedendoli indietro a chi materialmente ha consentito lo spreco e non certo ai cittadini ed ai lavoratori che non guadagnano quelle cifre per assumersi rischi; parliamo quindi di dirigenti e amministratori. Vorrei far notare che mentre certa stampa e certi blog si soffermavano sullo scopino, come si dice a Roma, che si stava mangiando un cono gelato altri si mangiavano i milioni. Sono gli stessi della famosa battuta fatta al vigile Alberto Sordi dagli amici del sindaco De Sica. Ecco, già ripartire da questo piccolo accorgimento, spezzando il legame del Campidoglio con certi poteri romani che hanno fatto i padroni fino ad oggi ma senza furie iconoclaste come qualcuno in malafede teme, potrebbe ridare un po’ di ossigeno alle casse e al fiato dei romani.