Roma 2016, la campagna elettorale che ammoscia il dibattito
Roma 2016, la campagna elettorale per le amministrative ci regala litigi, inutili colpi bassi e totale assenza di dibattito sulla città.
Siamo oramai alla frutta -in tutti i sensi- al caffè e quasi all’amaro ma di dibattito sulla città se ne sente pochino in questa campagna elettorale Roma 2016. Sappiamo tutto, e francamente poco ce ne frega, del lavoro da praticante e da avvocata di Virginia Raggi la candidata del M5s. Siamo rimasti appesi fino all’ultimo per capire cosa frulla nella testa di Silvio Berlusconi e ancora abbiamo le idee confuse, come le sue del resto. Abbiamo assistito al massacro interno del centro destra con Alfio Marchini che “libero dai partiti” è quotato come uno dei contendenti del centro destra e si fa inseminare da Forza Italia. Infine Roberto Giachetti, che sembra vergognarsi del PD assente ingiustificabile da questa campagna elettorale, ma dietro le quinte continua a tessere perché non si sa mai, magari il radicale vince. Per quanto riguarda i programmi da attuare su Roma, beh su quelli è stretto riserbo per dedicarci al finto gossip.
Gli americani lo sanno fare meglio.
Gli americani lo sanno fare meglio, e non è una rivincita per la famosa maglietta di Madonna degli anni 80, davvero le campagne elettorali nord americane sono molto più coinvolgenti, riescono a massacrare l’avversario infilandosi nei bagni e sotto le lenzuola, scovando perfino quella multa per divieto di sosta presa negli anni del liceo, ma la battaglia finale è sul faccia a faccia tra candidati e sui rispettivi programmi, è in quel momento che si schiantano o decollano le carriere dei politici a stelle e strisce. Facciamo un esempio con Roma 2016, il praticantato della Raggi fatto in uno studio prestigioso come quello di Previti negli USA l’avrebbe qualificata come una vincente, giovane capace e determinata, non certo una loser -parola che da noi non ha lo stesso significato-, a Roma questa esperienza professionale diventa qualcosa che è meglio nascondere come fosse un crimine di cui vergognarsi, solo nell’italietta provinciale degli invidiosi la professione altrui diventa una bomba da lanciare contro l’avversario.
Democratici a diverse longitudini
Prendete un candidato democratico in corsa negli U.S.A., metterà l’asinello ovunque, e altrettanto farà il candidato repubblicano con l’elefantino, mentre da noi nasce la moda del nascondiamo il simbolo. Nel PD lo fanno per ovvie ragioni di opportunità viste le recenti vicissitudini romane, non è certo un brand che tira. Però il discorso si amplia a macchia d’olio e questa diventa la campagna Roma 2016 “fuori dai partiti”, anche se di partiti storici ne sono rimasti ben pochi. Il M5s ne fa la sua ragione politica come MoVimento contro la partitocrazia, per Marchini è questione quasi di stile imprenditoriale, ne fa simbolo per poi farsi convergere da Forza Italia. Gli unici che sono rimasti nell’ideologia sono … no! Nemmeno loro. Ci tiene la Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia a dire che “mai stata fascista”. Tutte cose molto utili, per carità, ma per i giornali che si leggono dal medico o dal parrucchiere, attendiamo ancora gli articoli da prima pagina dei quotidiani.