Zio Vanja, al Teatro Arcobaleno, versione di Duccio Camerini
Zio Vanja nella versione firmata da Duccio Camerini. Prima nazionale dal 1 al 24 aprile 2016 al Teatro Arcobaleno per il grande classico di Anton Cechov.
Comico, surreale, a volte perfino demenziale, informale e divertente, Duccio Camerini firma una versione del tutto innovativa del capolavoro di Cechov Zio Vanja, uno spettacolo moderno, adatto al pubblico di oggi, con il quale debutta in prima nazionale al Teatro Arcobaleno dal 1 al 24 aprile 2016. Con Sandro Calabrese, Duccio Camerini, Ciro Carlo Fico, Mattia Giovanni Grazioli, Maria Vittoria Pellecchia e Francesca Sgheri, musiche a cura di Alchimusika, spazio di Roberta Gentili, regia di Duccio Camerini.
“Cechov è un parente – afferma Duccio Camerini – e non solo grazie a quel suo specifico tratto “familiare”, ma perché anticipò e in qualche modo determinò tanto teatro che sarebbe venuto dopo di lui. Anni fa ho portato in scena “Tre Sorelle” con lo Stabile delle Marche, poi in seguito ho tenuto un laboratorio della durata di un anno su Cechov, la sua vita, le sue storie, al Teatro Ateneo dell’Università di Roma. Oggi lavorare su “Vanja” ha per me il sapore di un ritorno a casa.
“Scene di vita di campagna” scriveva l’autore per definire il suo testo, che ancora oggi resta per fortuna indefinibile, e al di là di facili scorciatoie e catalogazioni televisivo-contemporanee. L’assurdo, i tic compulsivi, le manie, le ossessioni dei suoi personaggi, il loro continuo e persistente antieroismo. Una commedia che analizzando l’immobilità, la paralisi, diventa tragedia. O viceversa. Ma è così tutto il teatro di quest’uomo morto a soli quarant’anni, dopo aver speso una vita tra onestà impegno e modestia, una vita densa come quella di un ottantenne. Ancora oggi sentiamo Cechov come il più giovane e irrisolto degli autori classici. Infatti questo ragazzo invecchiato, che arrossiva quando incontrava Tolstoj, doveva proprio all’ossimoro della sua esistenza la sua principale energia creativa: lui era due persone, aveva due età, era ragazzo ma anche uomo. Era ingenuo eppure disincantato. In lui, la “linea d’ombra” di Conrad, non era così facile da trovare. Antoscia Cechonté, questo era il suo nomignolo d’arte da giovane, quando sperimentava i primi racconti, è morto appunto giovane, troppo giovane per farsi incasellare in una forma. Vecchio non ci è diventato mai. Questa la feconda contraddizione paradossale che anima le sue indagini sulla vecchiaia e sul tempo.
Il nostro spettacolo – prosegue Duccio Camerini – parla di questo: dell’età interiore che ognuno di noi ha, in rapporto ai suoi pericolosi sogni e al tempo che passa silenzioso. Tratta di giovinezza a termine, della vecchiaia con cui non vogliamo fare i conti, del vano e assurdo agitarsi di donne e uomini nella speranza di ritardare il più possibile quel momento: come una linea, una porta, che prima o poi si chiude dietro di te, incasellandoti in una forma che non hai richiesto. Ma Zio Vanja è anche la storia di una famiglia, un racconto sentimentale, che abbiamo scelto di portare in scena cercando di “pulirci” da tutti i manierismi “alla” Cechov, ormai Insopportabili come tutti i manierismi.
Zio Vanja a volte sembra un sogno, a volte un incubo, a volte è ridicolo e scanzonato. E’ una delle sue investigazioni sul tempo, condotta con animo “straniero” da un uomo che del tempo ha conosciuto solo un pezzo, troppo poco per farsi intimorire”.