Cronaca

NOT A GOOD SIGN e le pagine che non abbiamo ancora scritto

NOT A GOOD SIGN. Difficile oggi riuscire a dire qualcosa di nuovo nel panorama prog rock, un genere dove é stato provato tutto e il contrario di tutto.

Difficile sperimentare qualcosa che non sappia di “giá sentito” e troppo facile cadere nel tranello di far sfoggio di un tecnicismo fine a se stesso, o di realizzare suites interminabili zeppe di cambi di tempo e di passaggi indecifrabili, al solo scopo di risultare originali. I NOT A GOOD SIGN, alla loro seconda prova, riescono invece nell’intento di realizzare un lavoro che in 53 minuti riesce a condensare 10 tracce ricche di ottima musica. É chiaro che in questa bravissima band milanese ci siano le influenze dei mostri sacri (Genesis, Yes, King Crimson), ma ascoltare oggi un album così bello e ben suonato, ricco di fantasia compositiva e di sfaccettature variegate, e questo da una band italiana, deve essere motivo di orgoglio per la musica nostrana.

FROM A DISTANCEÉ infatti nelle sfumature che FROM A DISTANCE  rivela la sua peculiarità, in quanto a pezzi più propriamente “prog”, come la stupenda “Open Window”, degna delle più nere inquietudini wilsoniane, o a “Flying over cities”, dove la band rivela la sua grande capacitá di cambiare tempo in modo armonico con inframezzi strumentali degni di nota, o ancora alla stessa “Wait for me”, prima traccia e “biglietto da visita” che ci fa subito capire di che pasta siano fatti i nostri, che riescono a passare da una partenza turbinosa ad un’apertura quasi magica e misteriosa con una atmosfera che ricorda i migliori Goblin, si passa con facilitá estrema a pezzi più lineari come “Going down”, dal sapore “Frostiano”, o a “Not now” dove emerge l’enfasi lirica, fino ad influenze classicheggianti (“Aru hi no yoru deshita”).

Ma è nella capacità di costruire architetture in crescendo che i NOT A GOOD SIGN affermano la loro bravura, come in “I feel like snowing”, che ad un inizio melodico ripreso poi nel finale, inframezza un tappeto strumentale che partendo dal basso sale sempre piú fino a raggiungere vette altissime, con un crescendo stupendo che ci fa comprendere come qui si faccia davvero sul serio. Il cambio tonalità é davvero esaltante, forse il momento più alto dell’album. Un plauso a parte merita “The diary i never wrote”, che definirei un pezzo da cantare a squarciagola sulla cima di una montagna, di fronte soltanto al proprio eco.

Con questa sostanza, mi auguro che il diario che scriveranno i NOT A GOOD SIGN negli anni a venire sia zeppo di pagine come questa.

Fabio Gaetani

Da sempre convinto che la Musica sia un ponte tra l'Uomo e l'Assoluto. Inizio a suonare il piano a 10 anni. Attratto dalla Musica in senso lato, spazio tra generi diversi, dal metal alla classica, dal prog all'etnica, dalla canzone d'autore alle colonne sonore, alla celtica. Compongo musica da 20 anni, come espressione di me stesso. La vera libertà è suonare per il puro piacere, lontano dai vincoli del marketing.

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