Cronaca

Intervista ai Winona

SenzaBarcode intervista i Winona

Michele Morselli, Marco Simonazzi e Francesco Pradi sono i Winona e Senzabarcode li ha intervistati per voi.
Chi sono i Winona? 
I Winona sono tre amici prima che tre musicisti, e per la precisione Michele Morselli alla chitarra e alla voce, Marco Simonazzi al basso e Francesco Prandi alla batteria e ai cori. Ci conosciamo da una vita e a parte qualche piccola sostituzione temporanea (spesso anche solo per un concerto) siamo sempre rimasti noi tre. Da quando abbiamo cominciato le registrazioni del nostro primi disco “Fulmine”, cioè poco più di un anno fa, si è unito a noi in pianta stabile un nuovo chitarrista live, Alessandro Moratto, che ormai fa parte a pieno titolo della nostra nuova famiglia allargata.
Come vi siete conosciuti? 
Ci siamo conosciuti nei corridoi del nostro vecchio liceo, avevamo moltissimi amici in comune, ma la musica per noi è stata un collante potentissimo ancora prima che cominciassimo a suonare insieme: i primi concerti assieme, i primi locali e anche le prime band. Frank suonava la chitarra in un gruppo alt-rock, io lo stesso in una formazione brit; Marco non suonava ancora ma era molto amico con tanti giovani musicisti punk della scena emiliana, ci incontravamo ai concerti anche le sere in cui non uscivamo assieme.
Qual è la storia del nome della Band?

Tutti pensano che ci riferiamo direttamente a Winona Ryder, ma il riferimento è venuto solo in un secondo momento, e in maniera non scontata. In origine avevamo scelto di chiamarci “Wine in the afternoon”, come un’outtake dei Franz Ferdinand. “Wine” poi è diventato “Wino”, e solo a quel punto abbiamo scoperto che Johnny Depp aveva un tatuaggio che recitava “Winona Forever”, rimasuglio dei tempi in cui usciva con l’attrice, poi cambiato in “Wino forever”. Noi abbiamo fatto il processo inverso, ridicolizzando la pretesa eternità dei tatuaggi. Tranciare quel “in the afternoon”, troppo prolisso, è stato del tutto naturale.

Quali sono le vostre maggiori influenze musicali?

E’ difficile parlare di influenze, perché i nostri ascolti sono tutti molto diversi: Frank oscilla tra il prog e il jazz/latin/fusion, Marcus tra l’hard-core e il college/skate punk, io invece tra cantautorato e math-core … Non male come spazialità, eh?
I grossi punti fermi – quei gruppi che soddisfano tutti – sono per forza pochi: a tutti ci piacciono molto i Fall Out Boy del primo periodo, per esempio. Anche i Biffy Clyro ci solleticano assai. Io personalmente aggiungerei anche band come We were promised jetpacks o Crash of Rhinos. Sono state un punto di riferimento insostituibile per il sound design ma anche per il mix.
Fulmine, il vostro nuovo album, è uscito il 16 marzo. Come vi rappresenta? Cosa dice di voi? 

Molto di noi si capisce dal titolo: il fulmine è la corrente elettrica, è quell’energia vitale disperatamente desiderata che dia un senso – e un suono – a quell’ammasso di carne e legno che dovrebbe essere una band, in senso strettamente materialistico. Senza il fulmine, senza l’elettricità, questo non si riesce a fare. Ma il fulmine è anche un progetto di come vorremmo essere, qualcosa che colpisce con violenza, in maniera improvvisa e rapidissima per poi scomparire, lasciando però le cose modificate per sempre. Quando si rannuvolerà – quando ci saranno le condizioni materiali per una nuova scarica di fulmini – saremo costretti, sempre come il fulmine, a colpire in un altro punto, a spostarci, a cambiare. Non mi sembra male come progetto.
Quale brano della storia della musica potrebbe far parte di questo album?

Mah, al di là del brano scelto, credo che l’abisso sarebbe evidente con qualsiai brano della storia del rock. Noi siamo solo dilettanti, e i nostri idoli rimangono lì dove sono. A parte gli scherzi però, ci potrei vedere qualcosa dei Clash del periodo di London Calling o magari, con più modestia, qualcosa dei Weezer. Ecco, forse “My name is Jonas” potrebbe essere l’ideale. O magari ancora qualcosa degli Smashing Pumpkins da Siamese Dream, tipo “Mayonese”. Mi sembrano tutti sound che potrebbero inserirsi bene dentro “Fulmine”, sono tutti retro-ascolti fondamentali, in ogni caso.
Quale evento ha segnato di più il vostro percorso e cosa vi aspettate per il futuro?

Più che un evento direi un periodo tra primavera ed estate 2013, quello che noi chiamavamo Il Periodo della (of)Ferta. E’ stato un momento entusiasmante, una data dietro l’altra, tanti chilometri, tanto pubblico, tanto tempo passato insieme, e tutto grazie al passaparola di qualche locale, qualche contest vinto, qualche amico disposto ad aiutarci. L'(of)Ferta si è conclusa partecipando al Festival Collisioni organizzato da Einaudi e suonando alcuni giorni dopo in compagnia dei TARM. Straordinario. Quello è stato il momento in cui abbiamo preso coscienza di quello che stavamo facendo, è stato il momento in cui ci siamo detti che dovevamo proseguire, lavorare ancora, realizzare qualcosa di più articolato. Il frutto di quel periodo è “Fulmine” come lo si può ascoltare ora sul nostro soundcloud.

Per il futuro ti dico semplicemente: risentirci di nuovo così. Vivere lo stesso con “Fulmine”. Portare la nostra nuova musica ad più orecchie possibili, far divertire ma soprattutto divertirci facendo quello che ci piace di più, cioè suonare.

Clelia Tesone

E m'abbandono all'adorabile corso: leggere, vivere dove conducono le parole. La loro apparizione è scritta; le loro sonorità concertate. Il loro agitarsi si compone, seguendo un'anteriore meditazione, ed esse si precipiteranno in magnifici gruppi o pure, nella risonanza. Una delle più belle citazioni di Paul Valery per molti, come me, che crescono tramite una pagina, che sia letta, scritta o studiata.

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