Cronaca

Charlie Hebdo, non è questione di complotto

Non è il solito articolo sul complotto, però ancora una volta la verità supera la fantasia su Charlie Hebdo.

Tanti errori, troppi in questa storia dell’attacco terrorista in Francia, che a sommarli tutti si rischia di scrivere un articolo-recensione di un film d’azione all’americana, come si diceva una volta. Dopo lo sgomento iniziale, i commenti di rito sulla necessità di difendere la libertà di espressione insieme alla dignità ed alla vita umana contro la bestialità umana -e non le bestie come vorrebbe Marine Le Pen introducendo la pena di morte-, si arriva alla conclusione più scontata in assoluto: tutti morti gli attentatori esecutori della carneficina al giornale satirico Charlie Hebdo. L’epilogo scontato chiude un evento che sembra veramente troppo pieno di luoghi comuni. Possiamo cominciare.

10915285_10204884550226807_4624461932964739929_nSecondo la tv francese iTele (fonte: La Repubblica) l’Algeria avvisò il giorno dell’Epifania la Francia di un imminente attacco terroristico. I nomi degli ormai noti fratelli Kouachi figuravano nella no fly list in cui le autorità americane inseriscono tutti i terroristi noti o sospetti ai quali viene proibito di volare negli Stati Uniti. Anche Coulibaly, terzo attentatore assassino della vigilessa a Montrouge, era noto ai servizi dell’antiterrorismo francese in quanto collegato alla progettata evasione di Smain Ait Ali Belkacem, un terrorista algerino condannato all’ergastolo per gli attentati del 1995. Coulibaly insieme al minore dei fratelli Kouachi erano fra i principali discepoli dello jihadista Djamel Beghal, condannato per terrorismo ed in soggiorno obbligato. Si apprende che i due uomini erano telefonicamente intercettati e andavano regolarmente a trovare Beghal insieme ad Hayat Boumeddiene, la donna della sparatoria di Montrouge, già compagna di Coulibaly. Ciliegina sulla torta: Inspire, il ‘magazine’ di al-Qaeda in lingua inglese, sotto il nome e la foto di Stephane Charbonnier, direttore di Charlie Hebdo, già in primavera scrive “wanted dead or alive” a causa delle note vignette satiriche.

Tutto il resto sembra un copione già scritto. Due uomini che i servizi conoscono, entrano in una redazione che tutti sanno minacciata dal terrorismo qaedista, e portano con loro gli AK47, noti fucili d’assalto non propriamente tascabili. Uccidono tutti quelli che devono uccidere nella nota mattanza e scappano prendendosi anche il macabro sfizio di finire un agente in terra ormai ferito ed inerme, a distanza di poco altri “colleghi” terroristi fanno il tiro a bersaglio contro i vigili di Montrouge. Tutti scappano praticamente indisturbati per poi proseguire il loro lavoro in luoghi differenti sotto i riflettori di tutte le tv del mondo con annessa strage di ostaggi innocenti e con le menti operative cadute inevitabilmente nello scontro a fuoco.

Delle due possibilità una è quella giusta: o c’è una manina fantasma in azione che ha protetto gli attentatori per altri fini, oppure siamo veramente tutti lasciati senza protezione se questi sono gli apparati di sicurezza in dotazione ad uno dei Paesi europei militarmente più potenti. In entrambi i casi c’è da aver paura.

SenzaBarcode Redazione

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