Cronaca

Emma Watson, HeForShe e il femminismo oggi

Emma Watson alle Nazioni Unite: “Uomini, vorrei sfruttare questa opportunità per farvi un invito formale. La parità di genere è anche un vostro problema.”

Emma Watson madrina d’eccezione HeForShe: la nuova campagna per la parità di genere che ha come obiettivo quello di coinvolgere una metà del mondo, quella maschile, nel sostenere la cause dell’altra metà, perché “la parità di genere non è solo una questione femminile, riguarda i diritti umani e necessita della mia partecipazione.” Così recita l’invito all’adesione a HeForShe – vai al sito ufficiale HeForShe. La campagna HeForShe è stata lanciata a settembre dalla UNWomen, Organizzazione delle Nazioni Unite per la parità di genere, nata nel 2010 per volere dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Si tratta dunque di un’operazione dal respiro globale e che punta a sensibilizzare tutte le nazioni del mondo.

In occasione del lancio della campagna, il 20 settembre, Emma Watson ha pronunciato un discorso di fronte all’assemblea delle Nazioni Unite che ha riscosso molto successo, forse per la semplicità e incisività che hanno mostrato le sue parole allo stesso tempo, forse per la sua giovane voce, forse per la naturale simpatia che pervade l’attrice protagonista di una delle storie più amate dell’ultimo decennio. A me che faccio parte – anno più anno meno – della sua generazione, le sue parole non stupiscono. Ma non vorrei si travissasse e si sminuisse il senso del discorso di Emma Watson con facili polemiche e a causa delle contraddizioni che, comunque, questa campagna porta con sé.

La società è in grado di generare veri mostri: il maschilismo, il femminilismo – cosa diversa dal femminismo – come prova a spiegare anche la dolce Watson: “Per la cronaca, la definizione di femminismo è: «il credere che uomini e donne debbano avere uguali diritti e opportunità. È la teoria della parità dei sessi in politica, in economia e nella società”. Scrive Monica Lanfranco sul Fatto Quotidiano: “il discorso dell’attrice, classe 1990, è stato sottovalutato dai media e forse anche dai movimenti delle donne.” Io non voglio sottovalutarlo. Per quel che mi riguarda non posso che concordare con Emma Watson e sottolineare le sue parole a proposito delle azioni, convegni o assemblee che affrontano tematiche di genere frequentate in stragrande maggioranza da sole donne: “Come possiamo cambiare il mondo quando soltanto metà di esso è invitato o si sente a suo agio a partecipare alla conversazione?”.

Fin da bambini osserviamo i comportamenti dei nostri coetanei e degli adulti e ci domandiamo: perché ci si comporta così? chi è che impone di fare certe cose? cos’è che spinge ad assumere certi atteggiamenti? e io c’entro qualcosa? fino a che punto? Nella nostra società di oggi nessuno – ufficialmente – può dirti: questo non puoi farlo perché sei femmina o questo non puoi studiarlo perché sei femmina, oppure qua non ci puoi andare perché sei femmina, così non devi comportarti perché sei femmina. Eppure riceviamo un’educazione molto diversa. Non è detto che sia inferiore o superiore. Magari solo un’educazione adeguata alla femminilità o alla mascolinità. Che ti insegna come comportarti in un mondo prevalentemente maschilista.

Ma i maschi non sono esenti da questo meccanismo irrispettoso delle proprie inclinazioni. I maschi – per lo meno a partire dalla pubertà in poi – sembrano costretti a fare cose strane tipo: non piangere, non dormire nello stesso letto, non fare a meno di sottolineare la bellezza di un fondoschiena, fare gli spacconi davanti alle femmine, non arrossire per le stupidate che dice e che fa l’amico spaccone, non avere paura di andare da soli in giro di sera, allenarsi a fare i lavori cosiddetti pesanti, dimostrare continuamente di essere forti e, spesso, superiori. Crescendo le stranezze continuano, per esempio: attribuirsi il posto guida come diritto-dovere, litigare al posto dell’amica o della fidanzata, stare attenti alle femmine del proprio gruppo di amici, sentirsi interamente responsabili del benessere economico della famiglia, regalare fiori, offrire da bere, pagare la cena, non partecipare alle riunioni di donne… Cose così, banalità forse, molte delle quali sono etichettate come galanterie e, perciò, a noi femmine ci piacciono e ce le teniamo strette, sorridendo maliziosamente a chi usa tali gentilezze con noi.

Alcuni passi avanti sono evidenti a tutti, per esempio una nuova generazione di padri affettuosi con i loro figli, un comportamento impossibile da concepire fino a cinquant’anni fa. Però essere femminista non significa volere un mondo al contrario, vuol dire volere un mondo in cui ognuno possa assecondare e praticare il proprio carattere – mascolino o femminino o altro che dir si voglia – liberamente. Come Emma Watson mi chiedo, quando prenderemo – tutti e tutte – coscienza di questo? quando saremo davvero “liberi di essere”? Perché se bisogna cambiare, bisogna cambiare insieme! Questo è il senso del suo discorso. In attesa di una campagna ParentsForChildren, che magari si chiami WeForWe e basta, speriamo che la parola femminismo non sia più sinonimo di “donna incazzata e tabagista”. Forse il volto di Emma Watson potrebbe funzionare.

Cristina Di Pietro

Classe 1986. Laurea Magistrale in Lettere conseguita con il massimo della dignità. Citazione preferita: "se comprendere è impossibile conoscere è necessario" (P. Levi).

Cosa ne pensi?

error: Condividi, non copiare!