L’uomo nero non lo trovi sotto al letto, ma in mezzo al mare
Quante volte da bambini abbiamo sentito dire alle nostre nonne: ” se non fai la brava chiamo l’uomo nero”?
Oggi l’Ā uomo nero non lo troviamo piĆ¹ sotto al letto o dentro a un armadio, ma in un barcone, costretto in posizioni disumane per settimane, pregando Dio di farlo arrivare fino a riva, o almeno di fargli vedere, nuovamente, la terra ferma.
La novitĆ di questa estate della provincia di Vibo Valentia ĆØ stata l’arrivo di piĆ¹ di 600 clandestini, accolti e ospitati in varie strutture ricettive della zona. L’uomo nero si avvicina, scappa dalla guerra, abbandona casa e famiglia, e decide di sbarcare in Italia.
L’ultimo sbarco ĆØ avvenuto non piĆ¹ di due giorni fa. Una nave mercantile ha portato al porto di Vibo Marina circa 400 persone, donne e bambini compresi.
Devo ammettere che assistere ad uno sbarco non ĆØ come vederlo in televisione o immaginarlo. E’ qualcosa che ti colpisce al cuore, lo svuota e lo riempie di un’infinita tristezza. Immaginare quello che hanno dovuto passare quelle teste che vedi solo in penombra, affacciate alla ringhiera di una nave enorme, non puĆ² lasciare indifferente nessuno, neanche il Salvini di turno.
I commenti che hanno anticipato l’arrivo della nave, accolta come la carovana di un circo con famiglie intere in attesa dello sbarco, con il gelato in una mano e la macchina fotografica nell’altra, erano diversi e vari.
C’era chi sapeva ” per certo” che i profughi in arrivo fosseroĀ malati di EBOLO – e giuro che questo ĆØ stato il termine utilizzato- o chi chiedeva quale fosse la nazionalitĆ delle persone sulla nave, perchĆ© “i senegalesi son cattivi – Ā grazie a loro ho capito anche la nazionalitĆ dell’uomo nero – mentre i nigeriani non tutti”.
Molte persone erano arrabbiate, perchĆ© i profughi rubano il lavoro e incrementano la criminalitĆ , oltre ovviamente a portare malattie ormai debellate da decenni in Italia. Altra gente era semplicemente e umanamente preoccupata, sinceramente dispiaciuta per la sorte e la vita di queste povere persone.
La cosa che accomuna piĆ¹ o meno tutta la gente che ho ascoltato in questi mesi ĆØ, perĆ², che nessuno si sia mai fermato un solo istante Ā a parlare con una di queste persone.
In effetti come avrebbero potuto? il 90% delle persone che ho avuto il piacere di conoscere parla solo inglese o francese – a differenza di noi italiani-, e soprattutto, affrontare l’uomo nero vorrebbe dire distruggere il pregiudizio che accompagnava l’ingenua ignoranza delle nostre nonne.
Si potrebbe scoprire in effetti che molti di loro sono cattolici, scappati dalla Nigeria a causa delle persecuzioni contro i cristiani, o che altri sono vittime delle guerre civili che tuttora annientano gran parte dei territori africani. Parlare con l’uomo nero potrebbe metterci davanti a ragazzi di 20 anni, studenti di scienze politiche, fuggiti dalla loro nazione a causa del loro pensiero politico o della voglia di migliorare la propria vita.
Fermarsi a parlare con l’uomo nero porterebbe le menti mediocri a riflettere su queste persone dal grande sorriso e con gli occhi tristi cheĀ riflettono le stragi delle loro famiglie, genitori uccisi davanti ai loro piedi, fratelli sterminati e donne violentate.
Io mi sono arricchita molto parlando con alcuni di questi ragazzi. Ho rispolverato il mio inglese e capito quanto sia stata fortunata nella vita, semplicemente perchƩ Dio, il Cosmo, o semplicemente il Caso, hanno deciso di farmi nascere in una famiglia italiana.
La domanda piĆ¹ sensata, in tutto questo contesto, l’ha fatta una bambina di 7 anni, mia nipote, che mi ha semplicemente chiesto:
“Zia, ma perchĆ© gli uomini fanno la guerra e si uccidono tra di loro? “