Un batterista fuori dal coro: Intervista ad Antonio Fusco
Intervista ad Antonio Fusco, brillante batterista e personalità di spicco del jazz italiano incotrato al TrentinoIn Jazz una delle rassegne jazz più peculiari del panorama italiano
Redazione: Abbiamo il piacere oggi di intervistare uno dei più interessanti batteristi del panorama italiano e non solo: Antonio Fusco.
Antonio hai cominciato a suonare prestissimo, già all’età di 11 anni con band della tua terra, di Avellino. Poi il trasferimento a Milano, gli studi e l’incontro con il jazz grazie al saxofonista Michele Bozza. Ci racconti qualcosa di più di questo percorso? Da una musica che spaziava in vari generi fino ad arrivare al Jazz?
ANTONIO FUSCO: Si, in effetti il mio percorso è stato molto vasto durante i primi anni Milanesi. Prima di conoscere Michele Bozza, durante alcune jam session che si tenevano al Rapsodia Caffè sui navigli (ormai chiuso da molti anni), suonavo in diverse formazioni pop rock e contemporaneamente, mantenevo viva la mia passione per il jazz studiando e cercando di essere sempre presente nel circuito delle jam. L’incontro con M. Bozza è stato il primo passo importante per me perché mi ha introdotto nel jazz e mi ha insegnato la cultura del piatto swing, a volte con durezza, ma ha fatto un ottimo lavoro perché da allora non ho mai smesso di ringraziarlo. Avevo esattamente 19 anni quando l’ho incontrato al Rapsodia Caffe’, luogo magico perché li conobbi anche Giovanni Falzone. Il primo vero passo importante che ha permesso di aprire la strada verso la scelta è stato il progetto Portrait En Jazz Mèditèrranèen con cui ho registrato il primo disco e iniziato a suonare in qualche jazz festival. Nello stesso periodo l’incontro con il percussionista e cantante senegalese Doudou N’Djaie M’bengue, ribalta completamente la mia concezione ritmica e si rivelerà un’esperienza senza precedenti e di notevole importanza per la formazione del mio stile. La prima collaborazione importante è stata con il grande chitarrista Gigi Cifarelli con il quale ho avuto l’opportunità di ampliare le mie capacità e di farmi conoscere ad un pubblico più vasto nonché di registrare il mio primo live importante nel 2006. Gigi è stato un grande maestro e mi ha sempre dato tantissima libertà nella sua musica, senza mai soffocare la mia arte. La fase finale di questi sedici anni Milanesi (attualmente vivo a Bonn) avviene in conservatorio a Milano con l’incontro con tre grandi musicisti di cui porto tantissima stima: il pianista Antonio Zambrini, ancora una volta Giovanni Falzone ( rincontrato a distanza di quasi 13 anni e con il quale si è instaurata una solida collaborazione in diversi progetti) e in seguito l’entrata nel nuovo quintetto di Tino Tracanna “ACROBATS” e così via fino a Suite for Motian e al nuovo progetto A.FUSCO THE BILBO TRIO realizzato a Londra con la presenza di due fantastici musicisti: il pianista Bruno Heinen e il contrabbassista Danese Henrik Jensen.
Redazione: In molti definiscono la tua musica una “musica d’avanguardia”, ti rivedi in questa affermazione? Tu come la spiegheresti?
ANTONIO FUSCO: Si, e non posso negare che è sempre stata una grande ambizione quella di realizzare uno stile ed una musica fresca ed innovativa che potesse rappresentare il mio essere e che potesse convergere il concetto di musica totale in quello che noi chiamiamo “Jazz”. La mia musica rappresenta quello che sono dentro, quello che sono durante la giornata con gli amici, la famiglia, la mia compagna e tutto ciò che mi circonda. E’ un modo di comporre molto spontaneo ma allo stesso tempo, organizzato e pensato nei punti in cui lo richiede e senza alcun riferimento o rifacimento di qualcosa già sentito. Totalmente spontaneo, non compongo mai per esercizio. Solo se naturalmente ho un’ispirazione o qualcosa che mi da motivo di ispirazione, scrivo, ed a volte possono passare periodi anche lunghi senza pensare ad una nota. Durante i periodi di scrittura, la mia compagna contribuisce molto nella realizzazione di una mia composizione. A volte suono una melodia al pianoforte con una base di accordi per fargli sentire l’idea e lei a suo modo di sentire e percepire la musica, mi indica quali note devo eliminare sia all’interno di un accordo che di una melodia per poi arrivare all’essenza, perché secondo lei non danno valore alla musica.
Redazione: Continuiamo, grazie anche a queste chiacchierate, a cercare di capire sempre qualcosa di più del jazz. Antonio, puoi dirci meglio che cosa si intende con “post jazz” quando si parla della tua musica ad esempio?
ANTONIO FUSCO: Molte volte mi chiedo cosa sia il Jazz e perfino Post Jazz e parole simili. Per mia scelta ho deciso di non farmi più questa domanda per non incappare in etichettature varie, ma proverò a dare una spiegazione semplice. Il Post Jazz è una chiave fatta di elementi nuovi, qualche volta collaudati e inseriti in un contesto musicale che si presume sia l’inizio di un nuovo linguaggio o comunque di un’altra direzione musicale. In Suite for Motian si possono trovare molti elementi che richiamano a una nuova direzione, ma la strada è piuttosto lunga e questo è solo l’inizio. Attendo con ansia il momento giusto per scrivere nuovo materiale originale per questa formazione.
Redazione: Il progetto del CD Suite for Motian parte da lontano, in occasione della tua tesi di laurea se non vado errata. Cosa ti ha spinto a dare vita a questo lavoro?
ANTONIO FUSCO: Sicuramente la voglia di emergere non solo come batterista, ma anche come compositore e di conseguenza, leader. Quando ho incominciato ascrivere la tesi di laurea, da subito ho pensato che per me non sarebbe mai stato un semplice esame di chiusura di un percorso, ben sì l’inizio di una grande cosa che sentivo con tutto il cuore di realizzare, una sfida che avrei dovuto superare per fare un importante passo in avanti nella mia carriera. Il cosiddetto “Progetto” che oggi spaventa molti musicisti quando si tratta di mettersi in sala a giorni interi. Una volta realizzato e compreso a pieno l’impegno che stavo prendendo con me stesso, ho iniziato a pensare a cinque elementi che potessero dare vita a quello che stavo scrivendo e che avessero dentro il mio stesso fuoco di ricerca e voglia di lavorare insieme. Il risultato è stato eccellente e oltre le aspettative, considerando che non è stato, e lo è tutt’ora , materiale semplice da gestire. Ci sono voluti giorni di prove intense per realizzare tutta la suite ed entrare nella mia testa. Sono felice e orgoglioso dei miei compagni di viaggio: Michele Tacchi, Valerio Scrignoli, Rino De Patre, Marco Taraddei e Francesco Chiapperini li ringrazierò sempre per il loro impegno e dedizione.
Redazione: In che senso Motian ha rivoluzionato il modo di concepire la batteria?
ANTONIO FUSCO: Prima di Paul Motian, la batteria era stata concepita come uno strumento di accompagnamento, con uno swing impeccabile e assoli lunghi e ricchi di tante idee rivoluzionarie. Parliamo di grandi maestri della batteria a partire da Tony Williams, Art Blakey, Kenny Clarke, Philly Joe Jones tanto per citarne alcuni.Poi, con l’avvento della formazione di piano trio di Bill Evans, Motian porta la batteria verso un mondo più aperto, fatto di spazi, colori, dinamiche e interplay. Due pennelli al posto delle bacchette e il modo in cui amo definire lo stile di Motian. Era un vero artista, perché il suo modo di suonare era paragonabile a un pittore che inquell’istante dipingeva il suo più bel quadro e sarebbe rimasto impresso nel resto degli anni a venire. Questo è stato anche il motivo per cui ho pensato ad una Suite che rappresentasse una tela piena di colori e sfumature e che raccontasse una storia. Questo è stato per me il destino di Waltz for Debby, una musica in cui Bill Evans, Scott La Faro e Paul Motian, avevano trovato una nuova dimensione, una nuova strada percorsa in seguito da altri musicisti e tutt’ora seguita.
Redazione: Ai tanti ragazzi che ricevono la loro prima batteria giocattolo da piccoli e poi – divenuti adolescenti – vogliono intraprendere la carriera da musicista che consiglio daresti?
ANTONIO FUSCO: Di essere sereni, di non correre e pretendere tutto subito, perché oggi questo è l’errore che spesso incontro nei giovani di questa generazione. Vogliono raggiungere il massimo senza sacrifici e alcuni non comprendono che la musica è devozione, meditazione e va praticata con cura e pazienza senza forzare eaccelerare i tempi. Bisogna studiare tanto, non solo lo strumento ma anche la musica, l’armonia e tutto ciò che può accrescere la propria conoscenza musicale. Credere in se stessi e soprattutto focalizzare bene in quale direzione si vuole andare. Non scoraggiarsi mai di fronte agli ostacoli (c’è ne sono tanti da superare) e fare di ogni esperienza un motivo per crescere e andare avanti senza mai sentirsi accusati o toccati in qualcosa. Essere delle spugne e cercare di sviluppare una visone aperta della vita e di conseguenza della musica, perché in ogni musica c’è swing e nessuna musica è bella o brutta. Questo fa solo parte della nostra visione giuridica. Noi sentiamo quello che ci piace sentire, ma non vuol dire che quello che non ci piace è brutto, semplicemente non ci piace oppure in quel determinato periodo della vita non siamo in connessione con essa.
In fine essere onesti e in pace con se stessi perché la musica trasmette le nostre emozioni e nulla gli sfugge…Solo allora, quando tutti i fenomeni di personalità legati all’arrivismo svaniscono, possiamo comprendere che stiamo facendo musica…e non competizione…!
Redazione: Grazie Antonio e buon jazz a tutti!