Racconto breve: sognando la Shangri-La sul mare
Finalmente ero pronto: stavo per tornare a casa. I dolci ricordi che accarezzavano il mio cuore e allietavano la mia mente non facevano altro che rendere la mia attesa ancor più spasmodica, ad ogni battito d’ali. Avevo vissuto parte della mia infanzia sulle spiagge di quel magico mare, assieme alla mia famiglia e ai miei amici di sempre. L’atmosfera gioiosa di quelle giornate era accompagnata anche dalla felicità stampata sui volti di quegli esseri umani; quando sei piccolo certe cose non sei ancora in grado di capirle e nella tua infinita ingenuità quelli lì riescono a contagiarti con quella felicità palesemente ipocrita e tristemente passeggera.
Nei nostri sogni da gabbiani ci immergevamo anche in ciò che stavano vivendo quei dannati “uomini”, emozioni che noi potevamo capire solo a metà, ma che riuscivamo comunque a fare nostre: i bambini ridevano a squarciagola, gli umani innamorati intrecciavano i loro corpi divenendo una cosa sola, gli adulti erano tranquilli, sereni. Le spiagge sprigionavano un ventaglio di odori incredibilmente variegato: l’aroma pesante di quello che loro chiamavano “cocco”, la fragranza del pane. Alcuni umani facevano muovere degli strani cerchi attorno alla loro pancia; l’aria veniva invece sferzata dal volo di alcuni simpatici dischi chiamati “frisbee” e dai versi emanati da alcune scatoline nere: erano piccole, avevano una strana linea di metallo rivolta verso l’alto ed erano capaci di riprodurre suoni ancora più strani di quelli degli esseri umani. C’era un tizio al loro interno che, spesso, diceva cose tipo “Ramaya, oh, oh, oh, Ramaya”, insieme ad altri versi strani, e qualche volta mi è sembrato di aver sentito anche qualcosa sui gabbiani, appartenenti ad un certo “Guardiano del Faro”. Si parlava di un “gabbiano infelice”, o giù di lì, ma poi non dicevano più una parola: solo degli strani versi, mai sentiti in vita mia fino ad allora, da nessun animale.
In quest’atmosfera inebriante tutti sembravano felici e spensierati. Inizialmente non riuscivo a capire come riuscissero ad apparire così tranquilli, ma col tempo cominciai a capire il motivo della loro “illusoria felicità”: quando cominci a scrutare il comportamento degli esseri umani sulla terra ferma inizi davvero a riconoscerti in loro. Nel dolore, nella lotta quotidiana per la sopravvivenza, nel degrado. Sul mare sembra tutto più magico.
Noi viviamo per sopravvivere, ci cibiamo sulle acque, nelle discariche e solchiamo i cieli per vivere, raccogliendo i frutti che la natura produce; loro invece, la natura, la trasformano, la spremono fino all’ultima goccia, la uccidono. Dicono di essere “intelligenti” ma fanno sempre le stesse cose e in questo non sono così dissimili da noi. Ma questo è un problema loro. Stanno prosciugando tutto ciò che la natura gli ha gentilmente concesso, anche quando non ce n’era bisogno. Dicono di essere intelligenti ma stanno distruggendo la terra che amano, e sembra che ne siano ben consapevoli. Questo non è più un problema solo loro. Anche noi ne stiamo subendo le conseguenze. Noi che centriamo in tutto questo? Emigriamo di terra in terra, guardando dall’alto verso il basso il loro immotivato scempio. Ma ciò, ora come ora, non aveva importanza. Io e i miei amici stavamo per tornare nel luogo che ha incantato la mia infanzia.
Quando migrammo in giovane età, spostandoci da luogo a luogo, le terribili maree nere e le nebbie create dagli umani decimarono parte dei nostri compagni di migrazione. Una nuova generazione riuscì comunque a vedere la luce, ma avevamo perso la via di casa. Di stagione in stagione cercammo la perduta Shangri-La sul mare, il luogo che ha allietato le nostre infanzie. E finalmente l’avevamo trovato! Quelle due grandi rocce, quell’enorme montagna con quel buco al centro, quella lunghissima spiaggia. Sì, era proprio lei, la Shangri-La sul mare.
Perdonatemi se mi sono dilungato oltremodo, ma mi sono abbandonato troppo ai ricordi e alle riflessioni, anche in visione di ciò che avremmo visto una volta arrivati in quello che, purtroppo, non era più ciò che ricordavamo. La Shangri-La sul mare era diventata praticamente invivibile per noi. “Nino, ma sei sicuro che questo è il paradiso di cui ci avevi tanto parlato?” – mi domandò uno dei miei compagni incontrati durante le nostre migrazioni. Lui non aveva mai visto quel luogo incantato, e non lo vedrà mai, visto che sembra non esistere più. Anche io cominciavo ad avere dei dubbi. Quegli infernali scatoloni con le ruote s’erano moltiplicati anche lì: avevano invaso anche quel bellissimo luogo incontaminato, come tutti gli altri purtroppo. E con sé avevano portato l’odore di quella maledetta aria irrespirabile. Purtroppo anche il mare era magicamente cambiato. In peggio, ovviamente. Abbiamo provato un attimo a poggiarci sull’acqua. Non l’avessimo mai fatto. Non sembrava neanche mare. Purtroppo nel corso degli anni c’eravamo ormai abituati a bazzicare sui fiumi inquinati e sulle discariche, ma io quella terra l’avevo cercata per anni e credevo di trovarla proprio come l’avevo lasciata; se n’è andata a pari passi con la mia infanzia. Anche le spiagge non erano più affollate come prima. La gente non si buttava neanche più in acqua! Cosa diavolo era successo in quei 20 anni?
Viaggiando per i mari abbiamo scoperto altri paradisi simili a quello che avevo chiuso nello scrigno dei miei ricordi, ma nessuno riusciva ad essere lontanamente paragonabile a quella che, una volta, era la Shangri-La sul mare. Era qualcosa che amavo, che avevo vissuto, e che ora non c’è più. Forse gli umani non l’amavano abbastanza se l’hanno ridotta in quello stato. O forse amavano maggiormente qualcos’altro.
Il mare era l’orgoglio di quella gente, uno dei pochi: gli essere umani cantavano del mare, gioivano del mare, erano orgogliosi del mare. Hanno distrutto anche quello. Che gli rimane ora? Chissà, forse un giorno proveranno a liberare quello che loro chiamano “lungomare” da quei stramaledetti scatoloni con le ruote. Ma ciò non aiuterà il mare. Nessuno pensa al mare?