Se finisce la specificità radicale inizia l’omologazione
Non c’è mai una vera data per stabilire quando finisce la storia di un movimento, a meno che non sia un evento drammatico che coinvolge l’intera collettività.
Normalmente, però, la fine di un movimento parte da una concausa di eventi che ne cambiano lo spirito che ha animato i fondatori, si perde la forza primigenia che lo ha lanciato alla ribalta della scena politica. Possiamo dire che tutti i partiti all’inizio sono nati e progrediti grazie ad una forza propulsiva data da specificità trasmesse con fatti e parole differenti dal resto del panorama politico e di cui la società sentiva l’esigenza. In fondo l’offerta politica fa parte di un mercato: se non c’è la domanda il prodotto rimane sul groppone di chi lo ha lanciato.
Le parole che hanno caratterizzato il movimento radicale fin dall’inizio sono moltissime, così come le lotte che hanno differenziato i radicali dentro e fuori dalle istituzioni. Certamente il metodo di lotta è sempre stato lo stesso, la nonviolenza, così come l’avversario, la partitocrazia. Nonviolenza come metodo di lotta quando ovunque nel Paese e nel globo la violenza ed il terrore erano strumenti prediletti per cambiare, o non cambiare il corso degli eventi. Partitocrazia, ovvero il regime che ha governato l’Italia dalla fine della seconda guerra mondiale ai nostri giorni. La necessità del movimento radicale si sente con tutta la sua prepotenza negli anni settanta, quando per gli elettori non vi era alternativa di cambiamento e di scelta che non fosse tra lotta rivoluzionaria violenta o conservatorismo partitocratico, quando temi come diritti civili, riforma delle istituzioni, economia, risorse globali erano ostaggio della contrapposizione tra ideologie diverse, oggetti spesso assenti dal dibattito politico.
In un periodo in cui si doveva essere da una parte o dall’altra senza possibilità di altra scelta, i radicali permisero per la prima volta di parlare di temi considerati scabrosi per i media ufficiali e per la politica paludata, ma comuni nel privato delle case: divorzio, aborto, sessualità, antimilitarismo, antiproibizionismo, giustizia. Il chierichetto che vota Pannella, il missino che vota No al referendum per dire Sì al divorzio, il comunista che fa il contrario. I radicali sparigliano le carte, fanno la differenza, parlano nei primi anni 80 di fame nel mondo, guardati come veri strampalati dalla politica ufficiale e riescono a trascinare l’opinione pubblica in quella battaglia che non andò totalmente a buon fine ed oggi il genocidio che avviene quasi quotidianamente sulle nostre coste ne è la dimostrazione. Radicali anticipatori, fustigatori dei costumi scellerati della partitocrazia, dove la poltrona aveva più importanza della sostanza, una nomina era campo di battaglia per nottate di trattative, dove tutto era regolato dal famoso Manuale Cencelli di spartizione.
Ed oggi? Oggi la politica è come ieri, non più sparatorie o stragi nelle strade in nome di un’ideologia o di un terrore finalizzato a mantenere inalterate le cose, ma tutto il resto si ripete stancamente. Le lotte radicali di ieri sono entrate nell’agenda della politica ufficiale e “perbene” di oggi, ma senza le soluzioni lungimiranti animate da quei radicali. Se il movimento radicale perde quella spinta propulsiva, quella voglia di cambiare le cose che era il “patto” con cui ci si associava a quel variegato mondo, allora si appresta la fine del movimento. Ci si associava ognuno con il suo obiettivo: il separato alla L.I.D., l’antiproibizionista al Co.R.A., l’omosessuale al F.U.O.R.I., per essere rivoluzionari, partecipi di un sogno e di un cambiamento. Oggi prevale nella militanza locale radicale la voglia di prendere quello che gli fu negato da un’ideale che ora sembra scomodo, la bandiera della protesta e non della proposta è stata presa dal M5s, ed i radicali di nuova leva spingono perché ci si infili nel gioco “dei grandi”, quello della partitocrazia.
Di Regime e non più contro il Regime. Ma per ogni cambiamento c’è un prezzo da pagare. Innanzitutto l’offerta elettorale di questi nuovi radicali non ha riscontro nella domanda: si diventa ennesimo partitino alla ricerca disperata di sopravvivenza, e per questo alcuni dei giocatori hanno deciso di utilizzare la carta del blasone storico per infilarsi in altre liste: che siano PD o liste civiche poco importa, il comportamento alla fine ne viene omologato proprio dalla mancanza di autonomia che comporta l’inserimento in una lista altrui.
In fondo il prezzo è sempre lo stesso: stai al nostro gioco o non giochi, e per questo i radicali in passato fecero la scelta di giocare in un altro campo, quello delle idee, dell’azione e della proposta che, a volte, ha portato anche ad una autonoma partecipazione in liste altrui dimostrando di essere spina nel fianco del potere. Evidentemente quell’autonomia oggi non è più gradita, la specificità radicale non viene più valorizzata, e per alcuni il desiderio di mischiarsi alla partitocrazia ha ceduto il passo al desiderio di cambiamento, un modo di intepretare la politica che è stato sempre e spesso solo appannaggio dei radicali nelle istituzioni, nonostante Pannella ancora continui insieme a pochi compagni la sua battaglia, anche a rischio della vita, per cambiare le oscene storture che questo Paese eredita dal passato, ma aggravate nel presente.
Sarà una gara dei singoli ad usare per fini meramente elettorali il nome radicale finché ancora evocherà nelle passate generazioni una differenza? Forse, ma non avendo né le capacità e né la struttura formale di altri partitini che campicchiano sulla storia passata finirà nel peggiore dei modi: con la chiusura del movimento radicale, che si ripercuoterà necessariamente anche sulla stessa esistenza del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito, quell’invenzione unica nel panorama mondiale che rappresenta il Partito – ONG con status di primo livello presso l’O.N.U..
Tempo per resistere ancora ce n’è, forse pochissimo, ma per essere speranza e credere che non tutto si riduca alla partecipazione alla politica dei grandi partitocrati un sogno deve ancora valere più di uno strapuntino.