La Razza Padrona, i portatori d’acqua e il proletariato servile
Sono passati quarant’anni da quando la Feltrinelli pubblicava il saggio “razza padrona” di Scalfari e Turani, molte cose sono rimaste identiche ad allora, tutto direi
compreso l’ingresso degli stessi autori nell’Olimpo della Razza, ma con alterna visibilità e fortuna. Il primo fonda e dirige La Repubblica, uno degli organi ufficiosi della Razza, e diventa Cavaliere di Gran Croce, Grande Ufficiale e Ufficiale della Legion d’Onore, sembra un film di Fantozzi. Il secondo finisce nell’inchiesta “Penne Pulite”, con l’accusa di essere stato pagato dal gruppo Ferruzzi e dalla finanziaria milanese Ifm.
Qui finisce il riferimento al titolo, perché la Razza Padrona non ha mai mollato il potere, c’era prima del saggio e continua la sua direzione artistica del Paese, solo il panorama è cambiato. I nemici della Razza nei salotti della borghesia culturale del proletariato hanno fatto a gara per farsi cooptare con il vecchio adagio: se li colpisco mi comprano. Ed il popolino divertente che viveva all’ombra di quei salotti al solo scopo di sollazzare la Razza Padrona oggi non si nasconde più dietro una facciata rivoluzionaria, che non è più di moda, e nemmeno nel disimpegno acuto e brillante. Oggi, semplicemente, non ci si vergogna a portare l’acqua con le orecchie al Mulino della Razza, al grido di riformare, cambiare, leccare! Il portatore d’acqua esercita il proprio lavoro con disinvoltura, quasi beandosi dell’opera compiuta e del servizio reso, spera ancora nella cooptazione, ma i posti sono limitati e quindi la gara “meritocratica” si fa più dura e serrata: chi sarà il servo più servo?
La nota dolente spetta al proletariato sempre più numeroso, paurosamente incosciente della propria realtà, convinto di appartenere tutto sommato al gruppo dei privilegiati: insomma, la rana bollita che fino a quando non è morta è convinta di vivere ancora a lungo nell’acqua. L’uso del termine proletariato lo si dovrebbe intendere in senso opposto a quello che ha avuto nel secolo scorso: proletario è colui che oggi non può fare figli altrimenti finisce nella miseria più nera. Proletario è quel dipendente privato, molto più spesso pubblico, che al mantra “sei fortunato perché hai il posto fisso” si ritrova con stipendi al limite della sussistenza, altrove sarebbe un assegno di cittadinanza, derubato di quanto guadagna per mantenere un apparato politico mostruso che serve alla Razza Padrona per dirigere artisticamente il Paese. I peggiori, quelli più osceni, sono i proletari portatori d’acqua che nella melma in cui sono stati ficcati difendono a spada tratta e lavorano anche gratis purché la Razza Padrona possa aumentare potere e profitto, e socializzare al massimo le perdite in caso di crisi, ovvero scaricarle sul proletariato, anche quello che bussa con i piedi pur di servire il piatto caldo sociologico, storico, culturale, economico e politico. Tranquilli, non è il solito articolo grillino, purtroppo il paravento del nuovo difficilmente nasconde il vecchio, è solo illusione.
Un popolo, che deve per forza vivere all’ombra del servilismo più becero, è giusto che abbia quello che merita.