Recensione: Solo gli amanti sopravvivono
Solo gli amanti sopravvivono, gli spettatori forse no. I vampiri, al netto del virus dell’Aids nel sangue succhiato e di paletti di legno nel cuore sono immortali.
Questo implica vantaggi e svantaggi. Vivendo centinaia di anni possono vincere facilmente una gara con un normale mortale sui libri letti o i dischi sentiti. Potrebbero anche aver visto un live in Genoa di Niccolò Paganini. Uno svantaggio è quello di riuscire a uscire solo di notte e di essere così acculturati da poter discutere solo tra loro.
Naturalmente il fatto che siano vampiri è solo un pretesto.
Il film di Jim Jarmush, recitato da due splendidi attori come Tilda Swinton e Tom Hiddleston, è una critica della volgarizzazione della società odierna. Belli e raffinati, Adam ed Eve trascorrono il loro tempo collezionando strumenti musicali antichi e chiaccherando con Christopher Marlowe (ispiratore di Shakespeare).
Ambientato tra una Detroit (città che ha dichiarato fallimento) in sfacelo e Tangeri ci mostra l’incolmabile differenza tra vampiri umanisti (che non azzannano più nessuno) e zombie (così vengono chiamati i normali uomini). Tra citazioni di Shakespeare e dell’Ulisse di Joyce ci viene spiegato che solo l’amore (per il bello) può salvarci.
Purtroppo il Bello è un po’ come lo Spirito Santo, non basta evocarlo per farlo arrivare. L’enfasi su quanto siamo belli quanto siamo colti finisce per farci attendere bramosamente un pò d’azione, ed è una liberazione, quando ampiamente oltre la metà del film, vengono affondati i denti nel collo di qualcuno.
L’apocalittico Jarmush (una citazione di Umberto Eco ci voleva) finisce per diventare integrato, e il debole soggetto del film non viene riscattato da immagini da rivista di design o dai continui rallenty al limite del Kitsch.
Un’esperienza molto cool, molto noiosa.