Cronaca

Anno 1992: Strage di Capaci. Muore il giudice Falcone, la moglie e la scorta.

Ventidue anni fa morivano il giudice Falcone e la sua scorta. Nel 1992 le stragi ordinate da Totò Riina rendono l’Italia sotto shock. Ma cresce anche il desiderio di riscatto.

Strage di Capaci. Il 23 maggio 1992 alle ore 17:56, sull’autostrada A29 a pochi chilometri da Palermo, persero la vita: il magistrato antimafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro.

Giovanni e la moglie Francesca, di ritorno da Roma, atterrano a Palermo con un jet del Sisde, un aereo dei servizi segreti partito dall’aeroporto romano di Ciampino alle ore 16,40.  Tre auto,  una Croma marrone, una bianca e una azzurra li aspettano. È la scorta di Giovanni, la squadra affiatatissima che ha il compito di sorvegliarlo dopo il fallito attentato del 1989 dell’Addaura. Ma poco dopo aver imboccato l’autostrada che congiunge l’aeroporto alla città, all’altezza dello svincolo di Capaci, una terrificante esplosione (500 kg di tritolo) disintegra il corteo di autofondazionefalcone.it

Gli italiani e i siciliani sono letteralmente sotto shock. L’Italia sta vivendo anche un delicato passaggio politico, dal momento che si trova priva di un Governo e di un Presidente della Repubblica – da lì a brevissimo sarà nominato Presidente Oscar Luigi Scalfaro. E mentre il dolore attanaglia milioni di persone, nel carcere dell’Ucciardone, a Palermo, molti mafiosi arrestati festeggiano. Ai funerali di stato, celebrati il 25 maggio, assistono le più alte cariche dello Stato italiano tra cui il neo-Presidente della Repubblica Scalfaro. Migliaia di palermitani, siciliani, cittadini comuni si riversano nei pressi dell’imponente Cattedrale di Palermo. Le strade sono invase, la folla accusa i politici insultandoli, alcuni rischiano il linciaggio. La tensione è alta anche in Chiesa. Da lì a poco, il 19 luglio, toccherà a Borsellino e alla sua scorta che verranno colpiti a morte nell’altrettanto efferata Strage di Via d’Amelio.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino insieme a Giuseppe di Lello, Leonardo Guarnotta e l’istruttore capo Antonino Caponnetto erano riusciti a processare e arrestare 475 mafiosi grazie a quello che è passato alla storia come il Maxi-processo dell’Aula Bunker. Tra questi erano ancora latitanti i massimi esponenti del clan mafioso: Salvatore Riina e Bernardo Provenzano. Salvatore Riina sarà arrestato l’anno dopo, Provenzano solo nel 2006 a Corleone, dopo ben 43 anni di latitanza.

I giudici Falcone e Borsellino erano pienamente consapevoli di essere dei “morti viventi”. Ma la voglia di cambiare e di abbattere il sistema mafioso prevaricatore, l’esempio dei loro predecessori e l’alto senso civico e del ruolo della magistratura, sono stati sentimenti costanti nella loro formazione. La speranza e l’ammirazione di milioni di siciliani nei loro confronti ha reso forse meno ardua la loro resistenza. Ma dopo questa strage tutti hanno finalmente compreso. Hanno capito i siciliani e gli italiani onesti, i giornalisti. L’hanno capito molti politici e diversi rappresentanti istituzionali: il vero nemico da abbattere non era solo la mafia ma il connubbio stato-mafia che, con le stragi del 1992, è diventato a tutti evidente. Falcone e Borsellino furono uccisi proprio perché stavano “scoprendo le carte” e intralciavano le trattive.

Giovanni Falcone è stato un magistrato italiano che ha dedicato la sua vita alla lotta contro la mafia senza mai retrocedere di fronte ai gravi rischi a cui si esponeva con la sua innovativa attività investigativa, mosso da uno straordinario spirito di servizio verso lo Stato e le sue istituzioni. È stato tra i primi a identificare Cosa Nostra in un’organizzazione parallela allo Stato, unitaria e verticistica in un’epoca in cui si negava generalmente l’esistenza della mafia e se ne confondevano i crimini con scontri fra bande di delinquenti comuni.  La sua tesi è stata in seguito confermata dalle dichiarazioni rilasciate nel maxiprocesso dal primo  importante pentito di mafia, Tommaso Buscetta,  e, negli anni seguenti, da altri rilevanti  collaboratori di giustizia.

Grazie al suo innovativo metodo di indagine ha posto fine all’interminabile sequela di assoluzioni per insufficienza di prove che caratterizzavano i processi di mafia in Sicilia negli anni ’70 e ’80. Il metodo si avvale di indagini finanziarie presso banche e istituti di credito in Italia e all’estero e permette di individuare il  movimento di capitali sospetti. Esso è tuttora adottato a livello internazionale per combattere la criminalità organizzata.

Rigore investigativo, indagini finanziarie ed estrema capacità di coesione all’interno del gruppo che è passato alla storia come il “pool antimafia”: queste le caratteristiche che hanno permesso la realizzazione del primo maxiprocesso alla mafia, il più grande risultato mai conseguito contro Cosa nostra. L’eccezionale lavoro di un manipolo di magistrati guidati da Falcone approdò al dibattimento pubblico che vide alla sbarra 475 mafiosi, tra boss e gregari. Esemplare la sentenza, che consentì alla magistratura di condannare all’ergastolo l’intera direzione strategica di Cosa nostra. Accuse poi confermate fino in Cassazione.

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La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioniGiovanni Falcone.

da PensieriParole <https://www.pensieriparole.it/aforismi/vita/frase-130610?f=a:5726>

Cristina Di Pietro

Classe 1986. Laurea Magistrale in Lettere conseguita con il massimo della dignità. Citazione preferita: "se comprendere è impossibile conoscere è necessario" (P. Levi).

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