Fasano Jazz Festival: intervista a Ferdinando Farao’
SenzaBarcode, Mediapartners ufficiale del Fasano Jazz Festival, ha intervistato Ferdinando Farao’, direttore dell’Artchipel Orchestra.
Dal 30 Maggio la Puglia accoglierà uno dei più importanti eventi del panorama Jazz in Italia, il Fasano jazz Festival. Numerosi artisti di levatura internazionale si esibiranno fino all’11 giugno. Ferdinando Farao’, batterista e compositore jazz che ha collezionato importanti collaborazioni in tutto il mondo, sarà presente come direttore dell’Artchipel Orchestra.
Cos’è il Jazz per Ferdinando Farao’?
“It don’t mean a thing if it ain’t got that swing…”. E’ musica ma è anche un modo di intendere, di esprimersi, un’intenzione, un modo di pensare. E’ il momento, l’irripetibile, è quella cosa che ti mette in relazione col passato e ti spinge verso il futuro. Amo il jazz e quella sua oscillazione… è un mondo meraviglioso
Quando e come hai iniziato a suonare la batteria?
Ho cominciato a suonare da piccolino. Mio padre mi comprò una batteria quando avevo 9 anni e cominciai a suonare sui suoi dischi, molti dei quali erano di Duke Ellington e Count Basie
Sei un autodidatta, hai appreso quello che conosci in giro per il mondo, in vari Paesi. Come ne ha risentito la tua musica?
Ho percorso una strada opposta a quella che richiede la norma e cioè seguire degli studi, specializzarsi e fare la professione. Ho cominciato subito a suonare la batteria e ad avere collaborazioni che mi hanno portato a fare esperienza in diversi gruppi anche con ospiti internazionali, solo successivamente ho cominciato un percorso di formazione fino al raggiungimento di due diplomi al conservatorio. Per il resto non appartengo alla schiera di chi quando va all’estero la prima cosa a cui pensa è agli “spaghetti”, anzi! Penso che la musica risenta sempre delle esperienze vissute in ambito musicale, e non, un po’ ovunque e in tanti modi.
Come è iniziata l’esperienza con l’Artchipel orchestra?
Tutto è nato da un incontro a casa mia con Antonio Ribatti, attuale direttore artistico di Ah-Um Jazz Festival di Milano. Era il 2010, volevamo organizzare qualcosa per festeggiare i 10 anni dell’associazione Cjam fondata da Alberto Tacchini, Paolo Botti e Tito Mangialajo e artefice di molte edizioni del festival. Proposi di formare un “collettivo” chiamando a raccolta un gran numero di amici musicisti. Mandai qualche mail e formai un’ orchestra di 20 elementi. Suonammo al Teatro Fontana nel quartiere “isola” di Milano, così pensai di chiamare quel gruppo Artchipel Orchestra. In quell’occasione eseguimmo una mia partitura intitolata “Orecchie Unite” e ne presero parte: Claudio Fasoli, Tino Tracanna, Felice Clemente, Paolo Botti, Umberto Petrin, Gianluca Alberti, Niccolò Faraci, Mariangela Tandoi, Diego Ruvidotti, Francesco Forges, Shinobu Kikuchi, Luciano Margorani, Valerio Scrignoli, Flavio Minardo, Umberto fiori (Stormy Six), Lorenzo Gasperoni, Marco Mariani, Serena Ferrara, Michele Benvenuti e Simone Mauri. Andò molto bene e con qualche avvicendamento qua e là quell’esperienza è andata avanti: sono passati quattro anni ancora non ci siamo fermati.
Che futuro vedi per il Jazz italiano?
Preferisco parlare di musicisti italiani di jazz più che di jazz italiano. Penso che il futuro vedrà sempre di più numerosi musicisti italiani andare all’estero, come già sta accadendo oggi, con ottimi risultati.
Qual è stato il progetto che ha segnato maggiormente la tua carriera?
Non c’è solo “un progetto” ovviamente, ti segnano tante cose. E’ un percorso che ti forma e ti fa crescere continuamente. Ad ogni modo “momenti” molto significativi sono stati quelli con Claudio Fasoli, Tiziana Ghiglioni, Giovanni Falzone e i miei lavori Pollocksuite e Darwinsuite oltre ovviamente a quest’ultimo con Artchipel Orchestra.
Cosa sogni per il tuo futuro?
Sogno di continuare a suonare e a comporre il più a lungo possibile.