Cronaca

Sergio Grispello, l’intervista esclusiva al fotografo napoletano

SenzaBarcode ha intervistato in esclusiva Sergio Grispello, fotografo napoletano autore dell’opera interattiva Rostros, ahora y aquì.

Rostros, ahora y aquì di Sergio Grispello è una mostra fotografica altamente interattiva, dove Napoli e Barcellona vengono rappresentate dal volto della gente comune, da una molteplicità di ritratti capace di raccontare storie sempre diverse. I luoghi rappresentati da chi li vive e chi li transita: ecco l’obiettivo di Sergio Grispello, fotografo napoletano che SenzaBarcode ha intervistato in esclusiva. L’artista ci ha parlato del progetto Rostros, delle sue intenzioni future e delle sue grandi passioni.

Innanzitutto partiamo dal tuo progetto “principe”, Rostros. Un progetto a cavallo tra due realtà come Barcellona e Napoli, mostrate attraverso i ritratti del popolo comune. Parlaci un po’, in generale, della tua idea: cosa ti ha spinto ad intraprendere un progetto simile? Ho fatto un’analisi sui luoghi, sia pubblici che privati: sono pensati e realizzati per le persone. Il mio interesse è quello di documentare i luoghi attraverso le persone che li rendono vivi. Quindi, ho iniziato a lavorare nel 2012 in spazi pubblici, sia a Napoli che a Barcellona, iniziando a fotografare zone con grossa affluenza di persone. Dopodiché ho contattato una galleria, già interessata da prima ai miei lavori come ritrattista, proponendomi di realizzare Rostros in una maniera “più ufficiale” nel loro spazio. Le persone passavano per questo spazio o invitati da me, o di loro spontanea volontà: curiosi, persone interessate alla fotografia, o semplicemente abitanti del quartiere, passati di lì e pronti ad ammirare i ritratti della gente che aveva deciso di farsi fotografare. Ho iniziato con una parete vuota: la mia idea era di documentare lo spazio al momento in cui ero per la prima volta presente in esso, come se prima di me non ci fosse stato nessun altro. Già durante l’inaugurazione le persone presenti si sono meravigliate, visto che hanno trovato solamente un muro vuoto e uno sgabello; qualcuno mi ha domandato se era il giorno giusto dell’inaugurazione o se avevano sbagliato, però dopo poco si sono resi conto che loro stessi erano i protagonisti di questa mostra. Durante l’inaugurazione ho realizzato una sessantina di ritratti, stampati al momento ed affiggendoli alla parete in maniera aleatoria, senza un ordine preciso. Ho seguito questo lavoro per 45 giorni, dal 16 gennaio scorso al 28 febbraio. Durante questo periodo ho incontrato tantissime persone, di tutte le età e di tutte le razze: penso di aver incontrato individui provenienti da 23-24 stati differenti. È anche vero che Barcellona è una città multietnica ed internazionale, ed è quindi molto più semplice incontrare persone di differente nazioni rispetto a Napoli. Tutti i giorni realizzavo le foto appendendole alla parete, documentando il tutto attraverso il blog Rostros: Ahora A Aquì. Ogni giorno lo aggiornavo con considerazioni e nuovi ritratti, chiudendo la mostra con ben 176 ritratti realizzati. Moltiplicandoli per due, avevo praticamente tutti questi occhi che mi guardavano, che sembravano quasi mi proteggessero. Il giorno della chiusura dell’expo ho invitato tutti le persone che ho fotografato, donando loro l’immagine che avevo realizzato, staccandola dal muro, firmandola e regalandogliela. Era un modo per gratificare la loro disponibilità e la loro voglia di contribuire a quest’esperienza tra arte e società. Ho lavorato principalmente a Barcellona e solo in poche occasioni a Napoli. Il mio modo di lavorare è molto semplice, ed è basato sull’incontro con la persona.

Tra i tuoi sogni c’è quindi quello di realizzare questo progetto direttamente nella tua Napoli: vedremo tale desiderio in porto? Sarebbe il mio obiettivo, il mio sogno da realizzare. Si tratta di un’esperienza fotografica di un periodo concreto, che può essere di due settimane a due mesi, e proporlo qui, nella mia città, in modo da potermi incontrare con le persone che vivono qui, confrontarmi con la mia gente. In questi giorni in cui sono a Napoli sto provando a cercare uno spazio funzionale che mi permetta di realizzare tale progetto: ho avuto varie proposte, ma finora non mi hanno convinto, vista la tipologia di spazi che mi proponevano. Ho bisogno di uno spazio di transito, dove c’è movimento, incontro umano. Magari potrebbe essere una stazione di una funicolare o di una metropolitana, o un quartiere popolare, con più umanità. Il centro storico, o via Chiaia, in modo da incontrare una notevole diversità culturale e di visi. Ognuno, nel proprio volto, tiene tracciata la sua storia personale: raccontare la persona attraverso il volto per me è fondamentale. Realizzo poche fotografiche, anche in poco tempo, ma in quei momenti ho la sensazione di aver ricevuto qualcosa di molto grande, qualcosa anche di molto intimo. Non riesco a definire molto bene cosa succede: è sicuramente un incontro molto profondo, anche di pochi instanti; sento che la persona si ferma, in un momento, davanti a me, e si concede anche il lusso di poter farsi guardare e fotografare. In questi ritratti ci sono sempre io dentro le immagini: tutto è filtrato attraverso le mie emozioni, attraverso le mie sensazioni, attraverso la mia esperienza. Se ti fotografassi in questo preciso istante otterrei un tipo di foto; se qualcuno venisse con una stessa macchina fotografica e facesse la stessa foto rappresenterebbe qualcosa di diverso.

La tua mostra ha ottenuto un riscontro davvero notevole: hai intenzione di proporre esperimenti simili in futuro? Tutto il mio lavoro è basato sull’essere umano, ai suoi gesti, alle sue attitudini con il mondo che lo circonda. Il prossimo lavoro che sto pensando di realizzare è sempre legato al ritratto, ed abbraccerà l’area del Mediterraneo: incontrare persone in quelle zone, precisamente in Grecia, tra Atene, Salonicco e alcune delle isole greche, per poter documentare attraverso i volti dei nostri vicini greci la loro vita lì. Io lavoro in maniera molto lenta sui progetti: sono rapido nella realizzazione, ma ho bisogno di tempo per poterli concretare. I miei progetti sono molto corposi, parto da un’idea, spesso scritta, per poi realizzarla. Sono sempre aperto a tutti i cambi possibili ed immaginabili verificabili in corso d’opera, perché camminando poi s’incontrano cose differenti, capendo quindi la nuova strada da intraprendere. Adesso mi sto concentrando a far muovere Rostros (dallo spagnolo “volti”) e portarlo qui a Napoli.

Com’è nata la tua passione per l’arte e la fotografia? Sono stato legato dall’arte fin da piccolo. Dai 4 ai 14 anni ho studiato violino, avendo la fortuna di conoscere un grande maestro, mio nonno, la prima viola del San Carlo. Da lì capì che la musica sarebbe stata sempre la mia grande passione, ma non sarebbe divenuta la mia professione. Il mio interesse verso l’arte è sicuramente nato dalla musica. Mi sono avvicinato alla fotografia quando ho iniziato a guardare, per la prima volta, gli album di famiglia; poi mi regalarono la prima macchina fotografica, ovviamente a pellicola, realizzando il mio primo rullino da 24 fotografie facendo tutti autoscatti. Subito dopo iniziai a ritrarre i componenti della mia famiglia; ho sempre visto il ritratto come inquietudine e motivo di ricerca, ritraendo moltissimo i miei cari. Il mio primo lavoro di ritratto non comprendeva solo loro, ma una sorta di famiglia “allargata”, compresi quindi parenti e alcuni miei amici, coloro i quali hanno fatto e fanno realmente parte della mia vita. Ho studiato architettura, poi sono andato all’Accademia delle belle arti, formandomi inizialmente come fotografo da autodidatta, per poi incontrare numerosi maestri, sia qui a Napoli che in giro per l’Europa. Il mio primo maestro è stato il fotografo Bruno Del Monaco, seguito dal mio incontro fondamentale, quello con Sergio de Benedittis, con cui ho lavorato insieme condividendo un’esperienza fantastica. All’inizio degli anni 2000 mi hanno affidato un tutor per lo sviluppo di un progetto chiamato “Legami”, insieme al fotografo napoletano Antonio Biasiucci, dal quale ho imparato tantissimo. Ho poi iniziato ad uscire al di fuori della napoletanità, conoscendo nuovi maestri in giro dell’Europa. Il perché della fotografia? Perché penso che sia l’unico modo che ho per raccontare realmente le mie inquietudini e la mia vita; è il mezzo che più mi è vicino. Ognuno sceglie un mezzo per esprimersi, io ho avuto la fortuna d’incontrare la fotografia. Continuo a lavorare in analogico, la cosiddetta “photographie argentique” come la chiamano in Francia, perché penso che il tempo, l’attesa, anche l’umanità che ti dà la pellicola il digitale non te la restituisce, almeno a me. In più, mi è capitato di perdere numerosi dati da un hard disk esterno di backup; quando manca l’elettricità o perdi i dati come te le rivedi le fotografie? Quando invece lavori in analogico hai i lucidi, li metti alla luce e li guardi. Tutt’ora la fotografia analogica penso sia di gran lunga superiore a quella digitale, anche perché a me piacciono i tempi lenti, a me piace sorprendermi, scoprire pian piano cosa ho registrato in quelle pose, magari di capire di aver realizzato qualcosa d’inaspettato, sia in maniera positiva che negativa. Magari mi accorgo di aver sbagliato tutto, correggendo in corsa. Fa parte di un’attenzione, di una scelta, di una forma di rispetto nei confronti della fotografia. La fotografia lenta, con tempi umani, senza dover correre, per forza. Non trovo umana tutta questa velocità che ci impone il mondo attuale. Perché non prendersi del tempo per guardarsi una foto, aspettare due giorni prima di vederla, o magari di scrivere o ricevere una lettera? La mail rimane un oggetto elettronico, mi affascina invece l’idea della lettera che ti ritrovi nella posta, il pensiero che qualcuno ha dedicato parte del suo tempo per te, un qualcosa che per me ha valore. Può essere controproducente in ambito professionale, ma secondo me la qualità può essere molto più interessante della velocità e della quantità. Consegnare una buona foto in due giorni è ben diverso che consegnarne una mediocre in quattro minuti, e sicuramente non rappresenterà il mio lavoro, né me stesso. C’è bisogno di tempo.

Senza volerlo hai anticipato la mia ultima domanda. La musica, come da te anticipatomi, è la tua grande passione. E infatti volevo chiederti se, oltre alla fotografia, avevi qualche altra passione da coltivare. La musica è un aspetto fondamentale nella mia vita. Ascolto di tutto, non ho una preferenza concreta sui generi: dal reggae alla musica elettronica, fino alla World music. Faccio parte anche di un progetto di ricerca sulle sonorità del tango argentino, chiamato “Sulle rive del Tango”, un progetto nato proprio qui a Napoli con un gruppo di amici storici. La musica mi accompagna in tutti i momenti ed è ormai parte integrante del mio lavoro. Durante l’inaugurazione di Rostros, infatti, mi ha accompagnato dal vivo un violoncellista israeliano, Sasha Agranov, che rinviterò nel caso in cui riesca a proporre il progetto a Napoli. Per me lavorare in contemporanea con la musica è fondamentale, anche nella realizzazione dell’immagine. Molti lavori sono nati da un’ispirazione musicale: ho la fortuna di avere tanti amici musicisti, che mi hanno insegnato tanto.

Giuseppe Senese

Sono un laureando in Scienze e Tecnologie Informatiche, che nutre anche numerose passioni come la musica, il cinema e il calcio. Adoro il Rock Progressivo degli anni 70' (soprattutto quello britannico e quello italiano) e sono un tifoso sfegatato del Napoli.

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