Napoli-Porto 2-2: tra rimpianti, applausi e mancanza di maturità
Finisce tra gli applausi e i rimpianti l’avventura degli azzurri in Europa: dopo Napoli-Porto 2-2 c’è solo la Juve a rappresentarci fuori dall’Italia.
Quando la sconfitta viene accompagnata dagli applausi essa può divenire ancora più amara. Il Napoli di Rafa Benitez viene eliminato dall’Europa League dopo il 2-2 casalingo contro il Porto; fatale anche il risultato della partita d’andata, che ha visto i lusitani avere la meglio per 1-0 dopo un match maledetto per ambo le compagini, ricco di pali, traverse e rimpalli. Questa volta la sfortuna ha guardato solo agli azzurri, se di sfortuna vogliamo parlare.
Napoli-Porto 2-2 è, forse, la partita che più di altre può fare da “testimonial” alla stagione degli azzurri. La squadra di Benitez è una bella realtà incompiuta, che si inceppa quasi sempre sul più bello, che ha ancora tanto da imparare sotto il profilo della cattiveria agonistica. Troppe le occasioni sprecate, le statistiche parlano chiaro: 25 tiri totali, 12 nello specchio, verso la porta difesa dal portiere Fabiano, solo 2 gol. Per i lusitani, invece, solo 3 conclusioni all’interno dello specchio, stessi gol dei padroni di casa. La squadra guidata da Luis Castro ha saputo soffrire per 70 minuti ed ha capitalizzato al massimo le pochissime occasioni costruite. Nel calcio si vince anche così.
Non si vince, invece, se ti abbatti alla prima difficoltà: è come se un videogiocatore spegnesse la console al primo Game Over. È come se una persona, atta a corteggiare, smettesse di farlo alla prima delusione d’amore. È come se uno studente universitario, alla prima bocciatura, abbandonasse gli studi. Napoli-Porto 2-2 non è stata l’unica partita in cui la squadra azzurra s’è spenta dopo aver subito un gol: in oltre il 50% delle circostanze gli azzurri non sono riusciti a rimontare una situazione di pareggio o di sconfitta, calando nel gioco e nella prestazione. Un problema di mentalità che Benitez non è riuscito a risolvere mai del tutto: forse perché l’ex tecnico del Liverpool vorrebbe apportare alla squadra l’idea di una mentalità “vincente”, poco abituata alla sconfitta e alla rincorsa. Purtroppo, allo stato attuale, la rosa del Napoli non può permettere l’attuazione di ragionamenti simili.
A parte l’attacco, lo scacchiere tattico azzurro è apparso spesso inadeguato: Reveillere ha dato più volte l’impressione di essere un ex-giocatore, Maggio ha poca birra nelle gambe e non riesce ad adattarsi al modulo di Benitez, Britos ha mostrato più insicurezze che certezze, Fernandez s’è ripreso solo nelle ultime giornate, ma continua a commettere ingenuità gratuite, per non parlare del centrocampo, spesso apparso inconcludente in fase d’impostazione ed assente in fase difensiva.
Ma si sa, conta buttarla dentro: al Napoli tante volte, in questa stagione, gli è andata bene, ma chi gioca bene, nel calcio, qualche volta perde, soprattutto se commette costantemente gli stessi identici errori. Parantesi su Insigne: nel calcio sembrano sempre più rari i profeti in patria, e “Lorenzinho” non sembra essere l’eccezione che conferma la regola, anzi. Una stagione sottotono per lui, atteso da una grande prova di maturità e invece apparso ancora acerbo, supponente, scontato nel dribbling ed impreciso nelle conclusioni.
L’Italia perde quindi un’altra esponente del proprio calcio in Europa: dopo l’eliminazione del Milan, anche gli azzurri escono dall’Europa League, in maniera comunque beffarda ma, tutto sommata, meritata vista la partita d’andata, dove il Porto poteva certamente segnare più di un gol. Adesso c’è solo la Juventus a rappresentarci nel vecchio continente, dopo aver eliminato a fatica l’altra italiana rimasta, la Fiorentina, con la solita magia su punizione di Andrea Pirlo, un giocatore che sa sempre come risolvere le partite. Cosa che al Napoli, attualmente, manca maledettamente.
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