Parità di genere o tutela di una categoria “protetta”?
In questi giorni il Parlamento italiano sta discutendo le modifiche da apportare all’Italicum, la nuova legge elettorale proposta da Renzi – e Berlusconi-. Tra gli emendamenti proposti c’è anche quello sulla parità di genere.
La nuova legge elettorale non è ancora stata approvata, ma fa già discutere. Non si parla solo di liste, di candidati, di quota di sbarramento, ma anche di parità di genere.
Le parlamentari italiane hanno infatti deciso che un Paese democratico debba rispettare in tutto e per tutto la parità di genere. Le donne della politica vorrebbero infatti che non solo le liste contenessero il 50% dei candidati di sesso femminile, ma che questo obbligo si espandesse alla lista eletta.
E la libera scelta dell’elettore dove andrebbe a finire? Perché io – e lo dico da donna – devo essere obbligata a votare candidati che, a prescindere dal genere – non rispecchiano la mia volontà di voto?
L’obbligo di inserire – ed eventualmente eleggere – il 50% di candidati donna attuerebbe realmente la parità di genere?
E noi donne, siamo d’accordo con l’essere paragonate alle “liste speciali“?
E’ una disabilità essere donna?
Ogni volta che una critica viene rivolta ad una parlamentare si rischia sempre di essere tacciati di sessismo. Quanto è inflazionata questa parola che ho sentito ripetere non so quante volte dalla Presidente Boldrini. Ma è sempre sessista ogni critica rivolta nei confronti di una donna? E soprattutto, se non è la società, nella praticità della vita quotidiana, ad “accettare” questa parità di genere, come pensa lo stato di renderla reale? Obbligando forse l’elettore a scegliere, magari a caso, il 50% dei suoi rappresentanti tra le donne?
Prima di obbligare noi elettori – più di quanto già non lo siamo con le liste bloccate – a NON scegliere i nostri rappresentanti politici, sarebbe il caso di costringere i datori della donna lavoratrice, che svolge lo stesso ruolo e nelle stesse ore del suo collega uomo, a retribuirla in egual modo. O punire pesantemente chiunque obblighi una donna a firmare contestualmente il contratto di assunzione e una lettera di dimissioni in bianco.
Questi problemi, purtroppo, li conosciamo tutti. Ma questa parità di genere tanto acclamata dalle nostre parlamentari, tanto sostenuta da molte donne, non viene messa sotto i piedi da noi stesse quando, ad esempio, in un periodo particolare come quello della gravidanza, abusiamo di diritti ottenuti con il sangue e con sforzi enormi da chi ci ha precedute? Donne senza problemi che abusano della dicitura “gravidanza a rischio”, altre donne che sfruttano il contratto a tempo indeterminato per fare figli e pesare sulle spalle del datore di lavoro, altre ancora che utilizzano le ore concesse durante il periodo della maternità per fare tutto, tranne che occuparsi dei propri figli. Gli uomini a queste donne, cosa dovrebbero dire della parità di genere?
Per non parlare degli insulti – questi sì sessisti – che donne rivolgono ad altre donne. Una bella donna, ad esempio, arriva a rivestire un ruolo importante solo se ” l’ha data” a qualcuno più in alto di lei. Un’altra, che magari può indossare in modo impeccabile una minigonna, o un top un po’ più scollato, è sicuramente di facili costumi – e questo non accade solo nei paesini dell’estremo sud –
Ritornando però al discorso iniziale, io sarei felicissima di eleggere una lista con il 100% di candidati uomini, ma seri, professionali e attenti al bene del Paese, piuttosto che una lista 50 e 50 – come il burro – che non sa fare neanche un quarto del lavoro che dovrebbe.
Io scelgo la meritocrazia alla parità – formale – di genere!
Un Paese che ha bisogno di una legge sulla parità di genere o sulle quote rosa per sentirsi democratico, a mio avviso, ha un bel po’ di problemi da risolvere!
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