Cronaca

Suicidio, e se fosse la vita virtuale il problema?

Tra una valanga di “Likes” e “Retweet”, i giovani d’oggi stanno progressivamente perdendo il senso della realtà. E il suicidio diventa LA soluzione.

Secondo l’OMS, l’organizzazione mondiale della sanità, l’Italia è al 64° posto nella triste classifica riguardante il tasso di suicidio, che vede ai primi posti paesi come Sud Corea, Giappone, Cina ed Ungheria. Negli ultimi anni, però, la situazione sembra essersi drammaticamente aggravata anche nel nostro paese: fin troppo spesso assistiamo all’annuncio di notizie riguardanti giovanissimi adolescenti che decidono di togliersi la vita per diversi motivi, solitamente legati al mondo del web.

Il cyberbullismo, per esempio, sta mietendo numerose vittime negli ultimi anni, tra ricatti su Facebook, video hard e chi più ne ha, più ne metta. Nadia, 14 enne di Padova, ha scelto la via del suicidio lanciandosi da un hotel abbandonato; il motivo riguarderebbe un altro social, ask.fm, dove diversi utenti l’avrebbero istigata, in forma anonima, a togliersi la vita. Dopo il folle gesto, la ragazza ha scritto un bigliettino dove, riferendosi alla madre, è spuntato un inquietante “adesso sarai contenta”.

Un quadro agghiacciante, da dove traspare un mal di vivere apparentemente incurabile; i giovani sono lasciati sempre più soli, in balia di macchine inespressive, dove si può fare di tutto ma dove, fondamentalmente, non si ottiene nulla. L’approccio alla rete avviene ormai sin dalla tenera età, con un avvicinamento sempre più precoce a qualcosa che doveva aiutare le nostre vite, e che invece le sta progressivamente sostituendo.

Forse il discorso sta prendendo pieghe troppo “estreme”, ma la realtà dei fatti ci dice questo: se prima era la TV a rischiare di fungere da punto di riferimento per i giovani, adesso c’è anche il web, una macchina d’assuefazione dove la sovrabbondanza di “mi piace” e di apprezzamenti più o meno relativi ci stanno facendo perdere la concezione della realtà “toccabile”, quella maneggiabile, quella a cui apparteniamo davvero.

L’importanza dell’apparenza sta acquisendo sempre più potenza a discapito di quella dell’essere, visto che è l’apparire a portare gli apprezzamenti tanto agognati. I likes. I retweet. I cuoricini. E non importa se si parla di apparenza fisica o mentale: essere è diventato scomodo, apparire è l’unica cosa che conta. Ma quando anche l’apparenza comincia a diventare un problema, l’essere ha già perso importanza, come la vita stessa. Cos’è che ci fa vivere? Ciò che si è, ciò che si fa o ciò che si vuol far vedere? La risposta del web è chiara.

I ragazzi d’oggi hanno spesso paura anche ad approcciarsi all’altro sesso, a corteggiare, il tutto perché si ha “paura” di apparire inadeguati, perché la società, la TV, il web, lo impone: adesso ci si approccia su Facebook, su Badoo, sulle chat virtuali, mostrando, mostrando e ancora mostrando ciò che fa più comodo. E quando poi dobbiamo mostrare ciò che ci risulta scomodo? Quando capiamo che mostrare non ha più alcun senso, cosa rimane di noi? Nulla. Il nichilismo dell’anima ci sta portando all’autodistruzione, perché c’è perdita di volontà, di significati, di motivi. Il web dovrebbe migliorare le nostre vite, non sostituirle.

Sono i modelli ad indirizzare i giovani, ma non c’è solo il web nelle vite degli adolescenti: cos’è che, oltre i modelli mediatici, indirizza le nostre vite nell’età giovanile? L’ambiente familiare, quello scolastico, e in qualche contesto, quello religioso. Le nuove generazioni, però, sono sempre più restie a dialogare con i propri familiari, mentre la scuola italiana non ci prova neanche a formare gli alunni anche dal punto di vista emotivo ed idealista; imparassero la solfa a memoria, la lezione di italiano, la versione di latino e il teorema di matematica, tanto ciò che accade ai ragazzi fuori dalla vita scolastica è un problema loro. Peccato che negli altri paesi non funzioni così, e non stiamo parlando di imposizione, ma di tipologie d’insegnamento più o meno percepibili: quello che va assorbito è a discrezione della persona stessa.

Forse è lo stato a volere questo? O sta semplicemente sottovalutando il problema? Forse, semplicemente, lo stiamo ingigantendo noi. Quando però si parla di suicidio, forse è un bene ingigantire.

Giuseppe Senese

Sono un laureando in Scienze e Tecnologie Informatiche, che nutre anche numerose passioni come la musica, il cinema e il calcio. Adoro il Rock Progressivo degli anni 70' (soprattutto quello britannico e quello italiano) e sono un tifoso sfegatato del Napoli.

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