Cronaca

Spring Awakening: intervista a Stefano Brondi

Stefano Brondi è il direttore musicale di “Spring Awakening”, un ruolo chiave all’interno dell’opera perché lo rende custode e artefice di tutto il comparto acustico che accompagna lo spettacolo. Tenore lirico dalla notevole estensione, insegnante di storia del musical e di repertorio musical, Spring Awakening è solo una tappa della sua lunga carriera, ma una tappa molto importante. Proprio in occasione di questa sua avventura con il rock musical di Steven Sater, noi di SenzaBarcode l’abbiamo intervistato.

Iniziamo parlando di Spring. Cosa vi ha spinto a scegliere di riadattare proprio l’opera di Wedekind?

Due aspetti in particolare: la freschezza degli argomenti, così attuali a più di un secolo di distanza, e la commistione, inconcepibile per noi europei, che Steven Sater (autore dei testi) e Duncan Sheik (autore delle musiche) hanno saputo creare tra l’ambientazione originale del XIX secolo e le canzoni Rock in puro MTV style.

Spring Awakening tratta temi profondi e non proprio “leggerissimi” come aborto, omosessualità, violenza sui minori e sessualità adolescenziale. Come ha risposto il pubblico di fronte a queste tematiche?

Le reazioni sono state varie. C’è stato chi si è alzato a metà dello spettacolo, chi è rimasto impietrito e ha protestato, ma il commento più frequente è stato “All’inizio sono rimasto scioccato, ma ho resistito all’impulso e ho continuato a seguire fin quando tutto, straordinariamente, è apparso coerente e verosimile”.

Tra tutti gli argomenti affrontati nell’opera, quale ritieni più vicino a te e quale, invece, non ti appartiene affatto?

Da musicista puro, uno di quelli che nell’adolescenza non aveva gruppi di amici perché rimaneva a suonare e ascoltare musica, sicuramente il rapporto morboso/idealizzato della sessualità che in quegli anni inizi a scoprire. Poi sono cresciuto e tutto si è, diciamo così, riequilibrato.

Nel riadattamento di Spring avete scelto di non alterare l’impianto musicale disegnato da Duncan Sheik. E’ stata una scelta vincente? Come ha risposto la band nell’interpretare questi testi?

E’ stata sicuramente una scelta caparbia, a partire dalla volontà di suonare dal vivo, di non ridurre l’organico ma addirittura prevedere una direzione in scena, di seguire le partiture anche quando apparentemente si discostavano dalle informazioni audio che avevamo all’inizio. E’ stata una lettura interessante, alla ricerca del senso di ogni scena. Per i musicisti, meno avvezzi alla scrittura musicale teatrale di oggi, è stato uno stimolo per capire come i brani si strutturino liquidamente all’interno delle scene soprattutto negli underscore, la cui durata varia di volta in volta a seconda dell’andamento del dialogo soprastante in quella determinata sera.

Durante lo spettacolo ti ritrovi a dirigere la band a lato del palcoscenico, quasi come se foste anche voi parte integrante della scena. Quanta energia vi trasmette questa vicinanza con gli attori?

E’ un feedback continuo tra noi e gli attori, ci trasmettiamo energia a vicenda e tutto questo accresce molto l’aspetto emozionale dell’esecuzione. La musica dal vivo è così, reagisce direttamente alle scene di cui è parte integrante, e gli attori rispondono a questo contatto empatico con performances strabilianti, delle quali, come parte produttiva, vado molto fiero.

Ora parliamo un po’ di te. Dopo aver lavorato per tanti anni con la musica ed aver raggiunto produzioni importanti come Spring Awakening, quante difficoltà hai riscontrato nel tuo percorso? C’è spazio in Italia per chi voglia guadagnarsi da vivere seguendo le sue passioni?

Le difficoltà sono molteplici. Non consiglierei mai a mia figlia di intraprendere una carriera in questo mondo, ma so anche che se ne avesse la voglia inarrestabile che ho avuto io, sicuramente non mi darebbe ascolto. Il problema più grande è l’idea che in italia si ha del musicista e in generale dell’artista, come hobbysta o tutt’al più uno spiantato. Il professionismo non è considerato possibile, e questo conta molto nella costruzione della propria carriera, aggiungendo barriere alle mille già esistenti.

Che consigli ti senti di dare ad un ragazzo che voglia cominciare da zero?

Concentrarsi sullo studio, affrontare un’accademia specializzata visto che in questi anno stiamo assistendo ad un grande salto di qualità generale, e soprattutto non smettere mai di considerare quello che si fa un lavoro, al quale dedicare –almeno- 8 ore il giorno, anche se non siamo seduti ad una scrivania.

Un’ultima domanda sul futuro. Cosa pensi ti aspetterà dopo Spring Awakening?

Un sacco di progetti sul tavolo, con la difficoltà di realizzarli. Chi si arrende è perduto… anzi, per dirla come in Spring… è totalmente fottuto!

6 pensieri riguardo “Spring Awakening: intervista a Stefano Brondi

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