Recensione: Lo Hobbit, la desolazione di Smaug
L’universo incantato della Terra di mezzo, fatto di elfi, nani, stregoni e perfino draghi sta per ritornare con il secondo capitolo della trilogia de Lo Hobbit, la desolazione di Smaug
Gli amanti di Tolkien non dovranno aspettare ancora a lungo, il 12 Dicembre uscirà sugli schermi italiani una delle poche opere che ancora possiamo definire Colossal, lo Hobbit, la desolazione di Smaug. Arrivato già al secondo episodio della saga, Peter Jackson, regista dell’intera trilogia e prima ancora del Signore degli Anelli, si conferma sapiente interprete dell’autore britannico, nonostante le critiche dei fan per la scelta di inserire un personaggio non presente nell’opera letteraria, l’elfa Tauriel, interpretata Evangeline Lilly.
Le new entry nel film non si riducono semplicemente alla bella interprete di lost, ma ritroveremo vecchie ed amate conoscenze, come l’elfo Legolas, alias Orlando Bloom, uno dei protagonisti della precedente trasposizione cinematografica di Tolkien.
Scopriremo come se la caverà Bilbo Beggins, il coraggioso Hobbit in viaggio con il Mago Gandalf ed i tredici Nani, guidati da Thorin Scudodiquercia per riconquistare la Montagna Solitaria, assediata anni prima dal drago Smaug, per sottrarre le innumerevoli ricchezze dei nani.
Le avventure del giovane eroe, al secolo Martin Freeman, ignaro del suo coraggio e delle sue capacità, lo porteranno a Bosco Atro, non lontano dalle terre del temuto Beorn, che ben presto si rivelerà un indispensabile alleato. La traversata non sarà priva di insidie, il sentiero è lungo e la fame è la più pericolosa della nemiche, abbandonato il percorso prestabilito cadranno tra le grinfie di giganteschi ragni e poi degli Elfi delle Foreste. In ogni circostanza sarà l’inesperto, ma piuttosto furbo Hobbit a salvare i compagni.
Dopo le troppe peripezie, la compagnia riesce ad attraversare la foresta e giungere a Lake Town. Infine il viaggio, almeno per questo capitolo della saga, si conclude alla Montagna Solitaria, dove la più grande sfida, il drago Smaug, attende i nani e il giovane Hobbit Beggins.
Il film, già amato in America, si prospetta essere uno dei campioni di incassi nei botteghini italiani, nel periodo più ricco per la stagione cinematografica nel nostro Paese, durante il quale grandi nomi si danno battaglia. La proposta di Jackson, già di sperimentato successo, è un appuntamento imperdibile per gli appassionati fedeli di Tolkien, ma anche per le famiglie, che dal lontano 2001, anno di uscita del Signore degli anelli – la compagnia dell’anello, strega bambini e genitori.
Uno degli assi nella manica del regista sono, come tradizione vuole, gli effetti speciali, che dopo l’amara delusione dell’anno scorso per la perdita dell’Oscar, rispolvera vecchie tecniche, ma di sicura riuscita, per la punta di diamante di questo capitolo della saga, il drago. La tecnica del motion-capture, sviluppata dalla WetaDigital, compagnia di effetti speciali di Jackson, leader indiscusso del settore, è stata sapientemente reinventata nelle mani Benedict Cumberbatch, che ha potuto sviluppare il potenziale di questa mirabile tecnologia grazie ai maestri della Weta Digital, sotto la sapiente direzione di Joe Letteri.
Che dire, hobbit, nani, elfi, mostri sacri del cinema, cos’altro serve per un film di successo? Agli spettatori l’ardua sentenza.
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