Giornata mondiale del suolo. L’Italia che scompare sotto il cemento
Giornata mondiale del suolo. In Italia ogni giorno vengono impermeabilizzati 100 ettari di terreni naturali. 10 mq al secondo. A rischio territorio ed economia. Radicali Ecologisti: nell’Italia che scompare sotto il cemento.
Ieri, 5 dicembre, si è celebrata la Giornata mondiale del suolo. Erosione, salinizzazione e cementificazione sono le principali cause della perdita di suolo in tutto il mondo. Il fenomeno è di portata enorme e di importanza strategica, sia di fronte a un pianeta in continua crescita demografica, sia per il mantenimento degli equilibri territoriali. Questo è particolarmente vero anche in Italia. Secondo l’ISPRA ogni giorno vengono impermeabilizzati 100 ettari di terreni naturali. 10 mq al secondo.
Dal 1971 al 2010, abbiamo perso 5 milioni di ettari di Superficie Agricola Utilizzata (SAU). Questo dato deriva dall’effetto combinato di due fenomeni: abbassamento della redditività agricola e conseguente abbandono delle terre e, soprattutto, la cementificazione selvaggia.
Un cambio di modello di produzione, che contempli una riconversione che emancipi il settore agricolo da monocoltura intensiva, dipendenza da chimica e petrolio, potrebbe aprire nuove prospettive, non solo da un punto di vista produttivo, più equo e sostenibile, ma anche in termini di presidio territoriale. È inoltre urgente prendere coscienza che la continua perdita di suolo mina alle basi la nostra economia. A fronte di un aumento della popolazione, la superficie agricola utilizzata è diminuita (del 28% in 40 anni) e la forbice tende ad allargarsi.
L’Italia sta progressivamente perdendo capacità produttiva. Riso, pomodori e frutta fresca sono le uniche colture prodotte in misura superiore al fabbisogno interno. Per tutte le altre siamo ben al di sotto dell’80% di copertura. Per gli altri cereali sotto il 40%. La media del nostrogrado di approvvigionamento alimentare è pari all’82% ed è in costante diminuzione. Solo 20 anni fa era pari al 92%. Questo vuol dire che, se non cambiamo rotta, saremo sempre più dipendenti dalle importazioni.
La cementificazione è il grande nemico da combattere se vogliamo difendere quella risorsa primaria e limitata che è il suolo e, con esso, sicurezza e livelli produttivi. Occorrono interventi che sappiano coniugare prevenzione, informazione e coordinamento, perché il rischio idrogeologico riguarda l’82% (6.633) dei Comuni italiani e occorre contrastare ogni forma di abusivismo edilizio, viste le cifre impressionanti che emergono dai 3 condoni del 1984, 1994 e 2003 che hanno fatto emergere dal 1948 ad oggi4,6 milioni di abusi edilizi. Occorre anche un cambio di mentalità e quindi scelte di governo capaci di futuro, che sappiano andare oltre al facile consenso che in questi anni si è costruito attorno alla speculazione edilizia abusiva ma anche legale. Dal 1995 al 2009, i comuni italiani hanno rilasciato complessivamente permessi di costruire per 3,8 miliardi di mc. Le scelte di queste amministrazioni, più attente a servire gli interessi del Partito del cemento piuttosto che salvaguardare il Bene pubblico, sono concausa certificata del dissesto idrogeologico e dello sprofondamento quotidiano del paese nel fango.
Ma qualcosa si muove. Almeno in apparenza. Nell’attuale legislatura sono stati depositati tre disegni di legge di iniziativa parlamentare (rispettivamente di PD, SEL e M5S) che puntano alla riduzione del consumo di suolo. A questi va aggiunto un disegno di legge di iniziativa governativa. Questi disegni di legge, oltre a un aumento incredibile di burocrazia, sono tutti sorprendentemente accomunati dal fatto che nessuno raccoglie gli indirizzi stabiliti in ambito comunitario nella “Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse” [COM(2011) 571] che fissa un obiettivo molto ambizioso: raggiungere il consumo netto di suolo zero entro il 2050. Consumo netto di suolo zero significa l’occupazione di spazi liberi purché questo avvenga a saldo zero, ripristinando ad usi agricoli o seminaturali aree di pari superficie già urbanizzate e/o impermeabilizzate. Qualcuno aggiorni parlamentari e Governo: la sfida, più che fissare degli obiettivi quantitativi di consumo di suolo o enunciare principî generici sistematicamente disattesi, è quella di trovare strumenti regolativi che consentano di avviare un vasto processo di rigenerazione urbana a consumo netto zero garantendo l’indispensabile sostenibilità economica degli interventi edilizi e infrastrutturali, sia per gli operatori privati che per i soggetti pubblici. Si può uccidere il territorio con troppo laisser faire speculativo, ma anche con troppa burocrazia.
Oltre al vincolo del consumo netto di suolo zero, servono adeguate politiche di mercato: fiscali e di facilitazione al credito con l’obiettivo di rendere più conveniente il recupero dell`esistente piuttosto che la costruzione del nuovo e orientare di conseguenza il mercato immobiliare. Esenzione dal pagamento degli oneri di urbanizzazione e riduzioni fiscali per interventi di riqualificazione, recupero, ristrutturazione che comportano un significativo abbattimento dei consumi energetici e delle emissioni; promozione e facilitazione di interventi sullo schema ESCO (Energy Service Company) con rafforzamento dello strumento incentivante dei certificati bianchi e del conto termico; riforma della fiscalità comunale e divieto di utilizzo degli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente.
Questi ci sembrano interventi immediatamente attuabili che, insieme alla non più rinviabile riforma della legislazione urbanistica, potrebbero costituire la condizione per costruire un reale e duraturo sviluppo coniugando le esigenze di sostenibilità e di tutela ambientale con quelle altrettanto stringenti di garantire lavoro e reddito di impresa. Mentre si continuano a gettare dalla finestra decine di miliardi per grandi opere inutili, pensiamo che la vera “grande opera” del futuro sia la riqualificazione dell’esistente pensiamo che sarebbe molto più intelligente investire le scarse risorse in un piano nazionale di piccole ma utilissime opere, che aiuterebbe l’edilizia ad uscire dalla crisi e i cittadini a vivere meglio.
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