Donato Zoppo, intervista in esclusiva per SenzaBarcode
SenzaBarcode intervista in esclusiva Donato Zoppo, scrittore salernitano appassionato di musica Rock e autore del programma radiofonico Rock City Nights.
Nato a Salerno nel 1975, Donato Zoppo scrive per diverse riviste musicali, ed è tra i fondatori del web magazine MovimentiProg.net. Nel corso della sua carriera è stato anche autore di numerosi libri dedicati all’analisi a tutto tondo di alcuni tra gli album più importanti della storia del rock, tra i quali Amore e non amore di Lucio Battisti e Islands dei King Crimson, sua ultima uscita. E proprio in occasione di questa nuova pubblicazione, SenzaBarcode ha intervistato in esclusiva Donato Zoppo, che ci ha parlato della sua nuova creatura, delle sue grandi passioni e dei suoi progetti futuri.
Innanzitutto parliamo del Suo nuovo libro. La discografia dei King Crimson può contare su un variegato numero di albums, tutti tematicamente e musicalmente piuttosto diversi. Islands, però, rappresenta sicuramente “un’eccezione tra le eccezioni”, vista l’incredibile diversità sonora rispetto a tutti gli altri album della band: cosa l’ha spinto a intitolare così il suo nuovo libro? È stata una scelta dettata da un motivo preciso o rappresenta unicamente un punto d’inizio per delle analisi future?
Islands non è che uno dei dischi che ho analizzato, il quarto per la precisione, e l’ultimo della prima, straordinaria fase dei King Crimson. Un disco importante, a mio avviso il più significativo per i testi di Pete Sinfield, ma è anche il titolo del libro: mi piaceva – e continua a piacermi! – la metafora dei King Crimson come isola, come entità separata ma a suo modo congiunta alla terraferma del rock… Il bello è che questo titolo mi è arrivato in mente pochi istanti dopo aver ricevuto la proposta dall’editore: evidentemente l’idea dei King Crimson insulari – associati anche al nodo celtico che abbiamo usato per la copertina – era nell’aria da tempo e non ho fatto altro che afferrarla… Non so se sarà il punto d’inizio per future riflessioni crimsoniane, ma di sicuro è stato per me – come lettore, come ascoltatore e anche come autore – un momento importante di scoperta e riscoperta.
Da dove nasce la Sua grande passione per il Progressive Rock? Quali sono stati i gruppi ad averla maggiormente portata ad amare tale genere?
Per mestiere e per passione, io ascolto davvero di tutto: ne hai la dimostrazione se sfogli le pagine del mensile Jam o se mi ascolti la sera in radio (ma anche se vedi su Twitter i miei post #nowplaying…), però il progressive è stata la mia prima grande infatuazione, che in forme diverse prosegue tuttora. Devo riconoscere che senza la natura composita ed eccentrica del prog non mi sarei mai avvicinato al jazz o alla classica né avrei apprezzato la sintetica bellezza di una canzone. I KC sono uno dei gruppi che mi hanno “iniziato”, insieme a Genesis, Jethro Tull e Yes, ma adoro anche gli altri (Gentle Giant, Soft Machine, tutti gli italiani e i tedeschi), sia passati che presenti. Il prog è un microcosmo fatto di grandi campioni e di piccoli misconosciuti artigiani, e spesso le scoperte più belle arrivano proprio da questi ultimi, disseminati in ogni dove, anche in luoghi lontani dalla cultura anglofona come l’Indonesia o il Cile.
Pensa che il Progressive Rock si possa nuovamente tagliare un ruolo importante all’interno del panorama musicale attuale, o il periodo storico attuale non prevede una possibile “rinascita” del genere, comunque parzialmente in atto grazie ad Internet?
Il progressive è stato – insieme ad altre correnti altrettanto importanti come l’hard rock, il folk rock, il glam etc. – la colonna sonora di un periodo ben preciso, ovvero la fine degli anni ’60 e la prima metà dei ’70. Un periodo di utopie, di grandi compattezze generazionali, di musica “dei giovani” e non “per i giovani”, di assalti al cielo, hippie trails e raduni oceanici: immaginare oggi una rinascita in “quei” termini è assolutamente impensabile, non abbiamo neanche il tempo di aprire un 33 giri, sederci ed ascoltarlo godendoci la copertina… Tuttavia il prog non è morto, esistono migliaia di gruppi in tutto il mondo, sostenuti da uno zoccolo duro di ascoltatori e di giornalisti specializzati che riescono a tenere in piedi un piccolo movimento: se pensi che in giro per il mondo ci sono anche mostre d’arte dedicate al “barocco contemporaneo”, tanto per fare un esempio di continuità di alcune forme storiche nel mondo dell’arte, ti rendi conto che sotto sotto qualcosa che si muove – derivativo, canonico e conformista quanto vuoi, ma attivo – c’è…
Nel corso della Sua lunga carriera ha organizzato diversi eventi di divulgazione della musica rock. Ci parLa un po’ di questi eventi? Ha intenzione di organizzarne altri in futuro?
A me piace molto parlare di musica, soffermarmi con amanti e cultori per scambiare delle opinioni e confrontarsi, anche sui gusti personali. È per questo motivo che, quando è possibile, mi piace organizzare incontro di divulgazione su temi specifici, soprattutto con i giovanissimi: spesso a Copparo (FE) mi invitano per degli incontri con le scolaresche ed è molto interessante confrontarsi con ragazzi che non hanno mai maneggiato un vinile e non hanno conoscenza di brani che durano anche 25 minuti… A Benevento, la mia città, spesso ho coordinato presentazioni di libri e incontri con gli autori, utilizzando anche supporti audiovisivi: è una cosa molto bella e in pentola bolle una nuova idea per l’immediato futuro…
Ci dà una sua opinione sul progetto teatrale Spring Awakening, che Lei sta trattando anche sul Suo sito? Il pubblico italiano può esser pronto ad assistere ad uno spettacolo così contraddittorio e differente rispetto alle classiche rappresentazioni teatrali?
Ho visto la prima nazionale di Spring a Livorno il 24 ottobre: credimi, non esagero se ti dico che sono ancora emozionato. Io non amo il musical – se torniamo indietro al modello originario, non sono neanche un fan dell’operetta… – però Spring ha una marcia in più: i temi, la rock band dal vivo, la scenografia scheletrica e l’idea del light show avveniristica, la bravura degli attori, la forza delle musiche. Tutto ciò lo rende uno spettacolo avvincente. E poi gli argomenti toccano, molto profondamente. Lo consiglio davvero con entusiasmo. Ed è vero quello che diceva il direttore artistico Pietro Contorno: se non ora quando? È proprio questo il momento per portare in Italia un’opera scomoda e irriverente. Se non siamo pronti pazienza: prima o poi bisogna cominciare. Sono molto orgoglioso che il mio ufficio stampa collabori alla comunicazione di questo originale rock drama.
Nella sua bibliografia trova posto anche una partecipazione al libro di Ezio Guaitamacchi, “100 dischi ideali per capire il rock”. Secondo Lei quali sono i dischi fondamentali per comprendere a pieno un genere musicale tanto diffuso quanto variegato?
In quel libro curavo una scheda su Foxtrot dei Genesis, e se penso a 100 dischi rappresentativi credo che sia un numero piuttosto ristretto… Credo che il rock non possa essere quantificato e vivisezionato in una cifra, per quanto grande e ampia essa sia. Ma è anche vero che opere del genere hanno una funzione divulgativa e di consultazione sempre utile. Quel libro era una buona guida e offriva una sintesi a mio avviso efficace dei grandi dischi per comprendere il rock, da Elvis a Jeff Buckley passando per Beatles, REM e Radiohead. Rispondo alla tua domanda con un sol titolo: Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles (1967): più passa il tempo e più ho la sensazione che sia tutto lì…
Ultima domanda: quali sono i suoi progetti per il futuro?
Innanzitutto ho un progetto per il presente, che parte dal passato e si prolunga nel futuro: il mio radio show Rock City Nights (Radio Città BN), giunto alla settima edizione e ripartito proprio in questi giorni. È una cosa alla quale tengo molto, anche se gli impegni personali (la mia paternità!) mi hanno costretto a ridurre le puntate, ovvero solo due alla settimana. Ma è sempre una gioia inondare l’etere e il web di ottimo rock! Ho in mente un po’ di nuovi libri, spero di cominciare a breve: non anticipo nulla ma mi piacerebbe occuparmi di un importante gruppo alternative italiano, di una leggenda del rock internazionale, e se ci riesco vorrei concludere un mio romanzo… rigorosamente rock!