Libertà di stampa: il ruolo del web nelle rivolte tunisine
Nelle primavera araba tunisina il web ha svolto un ruolo fondamentale per la tutela della libertà di stampa.
La libertà di stampa è certamente un bene primario di tutti i popoli del mondo e uno strumento molto importante per la difesa della democrazia. Nelle sue tre accezioni di “diritto informarsi”, “diritto ad informare” e “diritto ad essere informati” questa libertà garantisce in un certo qual modo un rendiconto degli esecutivi nei confronti del proprio elettorato, rendiconto che deve necessariamente esistere in un rapporto, quello popolo-governo, molto simile ad un mandato. Proprio per il grande potere che la stampa possiede (ribattezzato “quarto potere”) sono davvero tanti e variegati i modi in cui si è cercato, e in molti casi si è riusciti, a limitarne o cancellarne la libertà, privando il popolo del rendiconto che gli spetta.
La forzata atrofia dell’informazione statale è stata più di una volta elemento scatenante di rivolte sanguinose che spesso hanno rovesciato regimi. E’ proprio questo il caso di Tunisia ed Egitto, due paesi che per primi hanno visto scatenarsi la deflagrazione della primavera araba e che con la frustrazione della libertà di stampa hanno fatto i conti per anni. La vera rivoluzione che ha caratterizzato la svolta nelle proteste di piazza è stata la rete – nella sua particolare e moderna accezione di web 2.0 – che ha permesso di aggirare il silenzio e le falsità della stampa “ufficiale” governativa, aprendo gli occhi non solo ai cittadini di questi paesi, ma al mondo intero.
Nella Tunisia di Ben Ali il regime era riuscito, con lungimiranza e già nel 1996, a limitare la libertà di internet, costituendo la Tunisian Internet Agency. Mentre la stampa ufficiale si allineava tutta ai dettami del leader, la perizia dei membri della TIA imbavagliava il web. Ma nonostante tutte queste censure la voglia di libertà dei tunisini è stata soverchiante e ha condotto, il 5 aprile 2004, alla messa on-line del social-media Nawaat. Questo sito web è nato raccogliendo le voci di tutti gli scontenti nei confronti dei Ben Ali, radunando l’opinione pubblica più distante dalle versioni “ufficiali” della stampa governativa in un grande forum. Con la crescita dei propri membri il sito ha cominciato a svolgere diverse attività per l’attivismo tunisino, fornendo un servizio di rassegna stampa affidabile nei confronti del mondo intero e pubblicando documenti video ed immagini che non sarebbero mai pervenuti dai canali governativi. Come c’era d’aspettarsi la TIA non è rimasta a guardare e ha subito messo in atto una guerra di censure molto efficace oscurando non solo Nawaat, ma anche tutti quei domini che riportavano notizie dal forum; nascose tutti siti web dietro ad un generico “Errore 404”, che è valso ai membri della TIA il soprannome di “brigata 404“. Ma nonostante tutto il cyber-attivismo tunisino non è stato a guardare e mettendo in campo stupefacenti conoscenze informatiche e tanta voglia di libertà ha combattuto la brigata 404 a colpi di domini esteri e siti mirror, hackerando il più possibile e permettendo al mondo di continuare ad essere informato sulla privazione di libertà che il regime stava mettendo in atto.
“Twitter e Facebook sono stati molto utili alla primavera araba” afferma Kais Zriba – blogger di Nawaat – dal festival di Internazionale a Ferrara, “ma non si può pensare che sia stato acceso da loro l’innesco delle rivolte. Gli internauti erano pochi e la ribellione c’era già.” Sebbene quindi i social network abbiano permesso a Nawaat di farsi conoscere in tutto il mondo, la lotta per la libertà di stampa non può prescindere dalle piazze dove purtroppo la violenza non è virtuale, ma fisica e sanguinosa.