Politica

Diffamazione, critiche da parte della Corte di Strasburgo

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha dichiarato che la normativa italiana in tema di diffamazione non è al passo con i principi comuni al diritto europeo.

filesE’ sul tema della libertà d’espressione che l’Europa si trova a dover bacchettare, nuovamente, l’Italia. La giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in tema di diffamazione è stata piuttosto costante negli ultimi anni e non si è contraddetta nemmeno nell’ultimo ricorso che ha coinvolto il nostro paese, nella persona di Maurizio Belpietro. Il direttore di Libero è stato condannato per diffamazione, ai tempi in cui guidava il Giornale, dovuta all’omesso controllo di un articolo a firma di Raffaele Iannuzzi. La condanna comminata dalla Corte d’Appello è stata piuttosto pesante (4 mesi di carcere e 110 mila euro in sede civile), così il giornalista ha rimesso il giudizio alla Corte di Strasburgo, che si è concluso lo scorso 24 settembre con una pronuncia a suo favore.

Ciò che si contesta al diritto italiano in tema di diffamazione a mezzo stampa è l’eccessivo rigore con cui viene punita. La prima grossa critica mossa dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo riguarda la previsione della sanzione detentiva proprio in tema di reati di espressione: mancherebbero nel caso della diffamazione quelle eccezionali esigenze repressive che giustificano il carcere. Ma la Corte non si ferma qui, auspicando addirittura la depenalizzazione del reato, regredendolo ad illecito amministrativo. Quest’ultima soluzione, in particolare, è molto cara anche a diversi organi UE, come l’OCSE ed il Parlamento, che più di una volta hanno sollecitato gli stati membri e disporre la depenalizzazione dell’illecito a mezzo stampa.

Norma cardine in tema di libertà d’espressione è l’articolo 10 della Convenzione Europea per i Diritti dellUomo, che mentre al primo comma enuncia in modo deciso l’entità di questo diritto, estendendolo ad ogni persona, al secondo comma elenca tutta una serie di deroghe: “L’esercizio di queste libertà può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario”.

Parte da qui il processo evolutivo della giurisprudenza della Corte, consacratasi nella sentenza Fatullayev c. Azerbaijan. In questo pronunciamento viene affermato che sì, possono ritenersi legittime in via generale deroghe alla libertà d’espressione, purché previste dalla legge e assolutamente necessarie, ma una particolare attenzione va rivolta ai giornalisti. Questi ultimi, essendo una sorta di custodi dell’ordine democratico, sono destinatari di un temperamento al rigore della normativa in tema di diffamazione, potendo spingersi più in la di un normale cittadino, fino a raggiungere toni a volte aggressivi e urticanti. Questo temperamento è figlio di principi basilari della convivenza in società democratiche, come il pluralismo, la tolleranza e l’apertura mentale, ma è comunque racchiuso da più o meno rigidi vincoli. Le deroghe al secondo comma dell’art. 10 sono ammissibili non solo in caso di situazioni di assoluta necessità e in casi previsti dalla legge, ma è anche necessario che il giornalista agisca in buona fede, rispettando la deontologia professionale, controllando le fonti e riportando notizie precise ed affidabili. Infine e sopratutto la notizia deve costituire un fatto di indubitabile interesse pubblico, potendo a volte ledere alcuni diritti fortemente protetti dagli ordinamenti nazionali.

Nonostante il nostro paese sia indietro rispetto alle altre principali democrazie, una proposta di riforma della normativa sulla diffamazione è stata presentata in Parlamento lo scorso 6 giugno ed è in corso di approvazione, anche se soggetta alle critiche di alcune compagini politiche.

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