Cronaca

Racconto Breve: L’uomo che scrutava il tempo (Prima parte)

L'uomo che scrutava il tempo

Quando le persone s’approcciavano ad Urtel lodando i suoi incredibili poteri, nel suo animo cominciava, sempre e comunque, ad aleggiare un senso di mortificazione e di beffa. A chi parlava di “incredibile dono”, rispondeva sempre al medesimo modo: <<Ma quale dono, la mia è una maledizione!>>.

Urtel Holken era un uomo sulla trentina, di carnagione scura, dalle abitudini abbastanza controverse: il suo carattere taciturno faceva storcere il naso ai più, rendendolo alla maggioranza delle persone un tipo schivo; magari aveva qualche segreto da nascondere, con un milione di scheletri nell’armadio. La superficialità ha l’immenso potere di trasformare la realtà, con giudizi che, alla fine, si rivelano fin troppo affrettati: Urtel, sì, aveva mille segreti da nascondere, ma non erano i suoi… erano i loro.

Urtel, infatti, era capace di osservare il tempo. Ma non sceglieva lui cosa scrutare: le visioni gli arrivavano spontanee, all’improvviso, senza alcun rigore logico, ed erano relative al luogo in cui egli si trovava. Urtel poteva osservare le persone coinvolte in eventi atemporali avvenuti nel luogo in cui situava in quel momento, come se stesse scrutando dei fantasmi; poteva entrare in una casa e osservare ciò che diversi individui avevano fatto in quel luogo minuti, ore, anni, secoli, anche millenni… fa, e dopo.

Arcobaleno

Qui nasceva l’equivocità del suo potere: Urtel, di fatto, non poteva distinguere se gli eventi che osservava s’erano verificati nel passato o nel futuro; i suoi unici punti di riferimento per poter farsi un’idea sulla temporalità dei fatti erano rappresentati dalla logica e dal colore. Contestualizzando gli eventi e ragionando un minimo, infatti, Urtel poteva capire se gli eventi erano situati prima o dopo il presente, ma soprattutto, poteva percepirne la lontananza dal momento attuale grazie al colore: così come lo spettro di colori di un’arcobaleno, se la colorazione era rossa ci trovavamo di fronte ad un evento svoltosi di recente, mentre avvicinandoci sempre più al violaceo finale, la temporalità della visione si allontanava nel passato, o nel futuro.

Urtel non amava parlare dei suoi poteri; l’esperienza gli aveva insegnato a tacere in merito, visto che la gente non era pronta ad accettare un individuo con tale dono. A Javed, però, il possessore di questi clamorosi poteri era ormai divenuto ben accetto: sotto forma incognita, infatti, Urtel veniva pagato per indagare su casi di tipologie diverse, e se ne stava ore intere, in uno stesso posto, ad osservare il tempo, nell’attesa di riuscire finalmente a scrutare l’evento tanto sospirato. Camuffato come “assistente” del detective di turno, Urtel Holken era il “vero” risolutore del caso, ma in pochi lo dovevano sapere; a lui andava bene così.

Purtroppo, si sa, gli unici avvenimenti di cui non si verrà mai a sapere nulla sono quelli che non accadono, e chi meglio di lui poteva saperlo? Qualcuno, di fatto, spifferò dell’incredibile potere di Urtel, e per lui iniziarono i guai. Tutti vogliono conoscere la storia dell’uomo che scrutava il tempo, tutti ora capiscono i motivi di tanta riservatezza e solitudine: la gente comune sapeva benissimo che non c’era niente di più pericoloso di un segreto scomodo, ed Urtel era, virtualmente, un contenitore di scomodità non indifferente.

Urtel ormai ne era ben consapevole: era arrivato il momento di scappare, ancora una volta. Javed non era più la città per lui. Qualcuno, probabilmente, lo voleva sfruttare per secondi fini; qualcuno, forse, lo voleva morto. E ciò gli toglieva il sonno, quel poco sonno che ormai gli era rimasto. Le persone normali provano a contare le pecore per cercare di addormentarsi, a lui bastava guardare il vuoto e gli si apriva un mondo di visioni, fatti dei colori dell’arcobaleno, che talvolta lo annoiavano, talvolta lo incuriosivano. Quella notte, sembrava come tutte le altre, ma una visione lo salvò.

Quella figura era la più rossa che avesse mai visto: apriva la porta e si avviava verso di lui, con un grosso coltello da machete; quando quell’ombra minacciosa si apprestò a pochi passi da lui, non riuscì più a vedere nulla. La paura gli annebbiava la vista: sapeva che quella persona era venuta lì per lui, e che il terribile momento era ormai imminente. Doveva uscire da lì, all’istante. Avvicinandosi alla porta, Urtel sentì un leggero suono tanto lento, quanto minaccioso e pesante: quei passi si avvicinavano sempre di più, quasi come se stessero scandendo il ticchettio di un orologio, che segnasse l’orario della sua morte.

La paura non inibiva i suoi istinti, ma rinforzava le sue difese: la sua fede per la Dea Aithelana era salda e convinta, ed Urtel era consapevole che Lei l’avrebbe aiutato a sfuggire a quella terribile situazione. Il ticchettio dei passi era sempre più forte, l’ora del giudizio era sempre più vicina: alla sua sinistra, lo scrutatore del tempo vide un vaso, e il resto venne naturale. L’individuo che aveva osservato con il suo potere aprì la porta lentamente: Urtel si trovava proprio alla destra dell’uscio, che gli si parò proprio di fronte, impedendogli di vedere l’uomo col machete; la porta, poi, si chiuse con una lentezza quasi millenaria, e finalmente apparve quella minacciosa figura. La nuca era ben esposta, il vaso era a portata di mano: Urtel lo colpì in testa con tutta la forza che aveva in corpo, e scappare dall’appartamento e da quella città rappresentava, in quell’istante, l’unico pensiero che gli passasse per la testa.

Urtel pensava che, una volta varcata l’uscita, dovesse solamente scappare il più lontano possibile, trovando un rifugio sicuro e pianificare, con calma, la fuga dalla città. Presto avrebbe scoperto che solo l’ultima parte del piano gli sarebbe riuscita. <<URTEL! URTEL! Vieni con noi! Fidati, non ti faremo del male!>>; fu la prima volta che sentì il tono di quella maledetta voce femminile, tono che in futuro avrebbe imparato a menadito. Come poteva fidarsi? Semplice: a volte basta un bel faccino. Di fronte a lui gli si pararono due giovani ragazzi: c’era lui, dai capelli lunghi dal color corvino, e poi c’era lei, con quella lunga chioma rossa e quel faccino dolce che sembrava esprimere la reincarnazione stessa della fiducia e della serenità.

Il ragazzo dai capelli color corvino li portò nella sua auto, mentre Urtel e la giovane donna si sedettero dietro. Raggiunto un luogo isolato, i tre scesero dalla macchina. Quelle parole, lo scrutatore del tempo, non le dimenticherà mai: <<Ascoltami Urtel. Noi adesso ti porteremo via di qui, con noi tu e il tuo segreto saranno al sicuro. Ma ad una condizione. Che mi dici?>>. In quel momento, a lui interessava solo fuggire da lì, ma la curiosità su quella “condizione” era troppa. <<Non puoi dirmi di cosa si tratta?>>, singhiozzò Urtel con terrore. <<Shelzania non è il momento per i giochetti!>>, decretò stizzito il guidatore dell’auto. <<Non ti farò del male, ma ho bisogno di te. Dimmi solo di sì, e ti prometto che ti proteggeremo. Non dirò niente a nessuno, hai la mia parola!>>. Urtel sapeva benissimo che non aveva alternative. Quindi, annuì.

Gli occhi della ragazza, d’un tratto, persero tutta la loro umanità: la sclera s’annerì d’improvviso, mentre l’iride assunse una forma ovale; i suoi contorni divennero dorati, con la parte centrale completamente nera, se si esclude quell’inquietante puntino bianco al centro di ambo gli occhi. Vide quegli occhi per un attimo. Poi, tutto cambiò. Pochi secondi prima era sulla terra, ora in uno spazio infinitamente nero, che sembrava appartenere ad un altro mondo. Intorno a lui il vuoto, poi, ad un tratto, un leggero formicolio sul capo: erano dei granelli di sabbia. Urtel si trovava in una clessidra formato “uomo”, quando, dinanzi a lui, gli si parò una visione paradisiaca. Lei sembrava una dea, e lo chiamava con voce ferma, ma dolce: <<Urtel. Urtel. Rilassati, qui sei al sicuro!>>. Era la voce di quella ragazza, di quella Shelzania. Da lì a poco, la vita dello scrutatore del tempo sarebbe cambiata per sempre.

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Sheyla Bobba

Classe 1978. Appassionata di comunicazione e informazione fin da bambina. Non ha ancora 10 anni quando chiede una macchina da scrivere come regalo per il sogno di fare la giornalista. A 17 anni incontra un banchetto del Partito Radicale con militanti impegnati nella raccolta firme per l’abolizione dell’Ordine dei Giornalisti e decide che avrebbe fatto comunicazione e informazione, ma senza tesserino. Diventa Blogger e, dopo un po’ d’inchiostro e font, prende vita il magazine online SenzaBarcode.it Qualche tempo dopo voleva una voce e ha creato l’omonima WebRadio. Con SBS Edizioni & Promozione si occupa di promozione editoriale e pubblicazione. Antipatica per vocazione. Innamorata di suo marito. Uno dei complimenti che preferisce è “sei tutta tuo padre”.

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