La Corte Costituzionale colpisce l’ergastolo
Nel giro di pochi giorni l’ergastolo ha subito due forti scossoni, sotto i colpi della Corte Costituzionale e di Papa Bergoglio.
Il pontefice, in occasione di una riforma organica del diritto penale vaticano, ha abolito la pena dell’ergastolo, sostituendola con la reclusione da 30 a 35 anni. La scelta del Papa, seppur legata molto probabilmente a motivi spirituali, più che temporali, si inserisce in una corrente ideologica che, partendo dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, sta attraversando il vecchio continente. La pena dell’ergastolo senza possibilità di scarcerazione o revisione è stata dichiarata dalla Corte inumana e degradante e quindi contraria ai principi che informano l’Unione in tema di diritti umani. Questa pronuncia, risalente allo scorso anno, ha scosso dalle fondamenta gli ordinamenti penali di mezza Europa; ordinamenti nei quali il carcere a vita è sempre stato visto come necessario contrappeso all’abolizione, indiscussa, della pena di morte. Questo moto ideologico è stato raccolto dai radicali italiani con la riproposizione di una consultazione referendaria contro l’ergastolo. Seppur da molti criticato a causa dei pochi anni passati (poco più di 20) dalla scorsa consultazione, il quesito del referendum GiustiziaGiusta contro il carcere a vita permette di risollevare la questione anche nel Bel Paese, con lo scopo di adeguare le nostre normative alla giurisprudenza della Corte.
Ciò che preoccupa maggiormente l’opinione pubblica è che un passaggio così netto, come quello che comporterebbe l’abolizione del “fine pena mai”, costituisca un vantaggio per i peggiori criminali, per quegli ergastolani condannati alla massima pena a causa di omicidi efferati e crimini di mafia. Chi propugna l’abolizione del carcere a vita, dall’altro lato, lo fa affermando che questi soggetti, le cui colpe indiscusse vanno riconosciute e punite, meritino comunque un trattamento penale consono all’umanità e alla dignità che la nostra Costituzione garantisce nei confronti di ogni essere umano, anche al peggiore.
Questo dibattito potrebbe però, nel giro di poco tempo, passare alla prova dei fatti, dato che pochi giorni fa, il 19 luglio, la Corte Costituzionale ha emesso una sentenza molto discussa. Tramite questa pronuncia (la n°210) è stato dichiarato incostituzionale il d.l. n° 341 del 2000, convertito con la legge 19 gennaio del 2001, nella parte in cui permetteva la possibilità di sostituire con l’ergastolo le condanne alla reclusione di 30 anni di cui i soggetti avevano beneficiato chiedendo il rito abbreviato. Tramite il rito abbreviato l’imputato decide di rinunciare ad una parte sostanziosa del procedimento penale, con le garanzie annesse, ma a causa di questa rinuncia può beneficiare della trasformazione dell’ergastolo in reclusione trentennale. Il d.l. n°341 ha permesso di sostituire, in alcuni casi, l’ergastolo alla reclusione trentennale di cui il soggetto ha appunto beneficiato, a causa dei gravi reati commessi. La norma ha previsto la possibilità di applicare questa deroga anche a chi, prima dell’entrata in vigore della stessa, ha già chiesto il rito abbreviato. Questa previsione risulta, però, lesiva del principio generale dell’irretroattività della legge penale sfavorevole, nei confronti di chi ha commesso il fatto prima dell’emanazione della norma. Questo principio, da tempo molto saldo nel nostro ordinamento, è stato ribadito dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, in occasione della sentenza Scoppola.
La pronuncia di incostituzionalità della Corte Costituzionale permette a chi è stato condannato a causa della forzata retroattività della norma di chiedere la revisione della sentenza, con la possibilità, per questi ergastolani, di essere scarcerati una volta scontati 30 anni di reclusione. Avverrebbe così, tramite quest’importante pronuncia, che i pericolosi soggetti di cui gli avversari all’abolizione dell’ergastolo temono la scarcerazione vengano rimessi in libertà, in piena attuazione del principio di uguaglianza, e l’abrogazione dell’ergastolo passerebbe così, seppur in piccolo, alla prova dei fatti.