La mancanza è una dolorosa presenza.
Se ne stava fermo, immobile, mentre la città correva. All’incrocio, la pioggia scrosciate ungeva l’asfalto, ormai nero lucido. Uno specchio. Non parlava ma cercava nelle persone uno sguardo di conforto. Ma nelle città, nessuno ha tempo, neanche per concedere uno sguardo. Con l’ombrello scassato, rotto in vari punti e mai riparato, aspettava.
Aspettava la speranza che aveva perduto, anni fa, e forse stava tornando, su un treno sudicio, che puzza di vecchio. Lui aspettava davanti alla stazione Centrale. La sua speranza stava tornando, gli avevano detto. L’aveva aspettata, sognata per anni, giorni e notti, quelle notti infinite a ricordare gli abbracci, i sorrisi, le promesse e il suo dolce profumo. Stava arrivando.
Guardava l’orologio. Era già mezzora che dall’angolo della strada, scrutava l’uscita della stazione. Niente. Il freddo trapassava dai vestiti, sferzando la carne, deciso ad entrare fin dentro le ossa. Congelava. La pioggia contava i secondi, scandendo il tempo. Plic plic. Un’orologio naturale. E poi arrivò. Un sorriso smagliante, una mantellina gialla. Correva e saltava. L’aveva visto e non riusciva a stare ferma. Corse anche lui, il cuore in gola, non curante della pioggia che, incessantemente, continuava a cadere. Lanciò l’ombrello di lato e la prese in braccio, stretta a lui, poteva sentire finalmente il suo profumo. Rideva, lei, una risata cristallina, pura e senza finzioni. Gli schioccò mille baci sulle guance pungenti.
“Mi sei mancato papà”.