Stamina: una legge per Sofia e Sophia
Sofia è morta, il 2 giugno scorso in seguito ad una crisi respiratoria. Davide Vannoni, presidente della Stamina Foundation e inventore del metodo omonimo, la definisce “la prima vittima della nuova legge”. Dai giornali la notizia trasmigra presto sull’onnipresente Facebook, dove viene postata completa di una foto della bimba di Firenze tra le braccia della mamma.
Chiariamo un punto: in questa storia di Sofia ce ne sono due, incontratesi tra le righe in burocratese di una legge oltre che accomunate da un destino cinico per il suono melodioso del loro nome.
Mentre a Roma sfilavano in parata per la festa della Repubblica, moriva a soli sei mesi la piccola Sofia. Sophia Maria Pirisi, soffriva dalla nascita di una terribile malattia: l’Atrofia Muscolare Spinale di tipo I, detta anche SMA1 o Malattia di Werdning-Hoffman, disordine neuromuscolare per cui non esiste cura. La Sofia che tutti noi affettuosamente conosciamo attraverso i servizi de Le Iene ha invece tre anni e coraggiosamente continua a vivere a Firenze, dove assieme ai genitori affronta giornalmente il calvario di un’altra malattia comunque drammatica, la leucodistrofia metacromatica, che la perseguita da metà della sua vita.
Nei mesi precedenti, i genitori di entrambe le bambine avevano ricorso presso i tribunali di competenza, affinché le piccole avessero accesso alla somministrazione di cellule staminali secondo il Metodo Stamina. Entrambe le sentenze avevano dato esito positivo per le famiglie, permettendo le infusioni di staminali di un protocollo, Stamina appunto, non ancora sperimentato nonché legato alla Fondazione omonima già sotto inchiesta (assieme al suo fondatore e ad altri membri). L’apparente contraddizione di un’istituzione giudicante che da una parte indaga e dall’altra concede, si basa fondamentalmente sulla categoria evanescente delle cosiddette cure compassionevoli. Per cura compassionevole, si intende un medicinale o un protocollo curativo non ancora sperimentato, e di cui quindi non si hanno prove dell’effettiva validità ed utilità scientifica, che diventa tuttavia volontaristicamente utilizzabile nel caso di malati molto gravi e senza altra possibilità di cura.
Sebbene dopo una prima infusione la terapia fosse stata di nuovo interrotta, l’attenzione dei media e l’indignazione popolare avevano, come ricorderete, di fatto sollecitato l’intervento del Ministro Balduzzi e permesso a Sofia di essere reinserita nel programma di somministrazione di cellule staminali attraverso il Metodo Stamina, così come era avvenuto anche per altri pazienti che sempre in seguito a sentenze si erano conquistati il diritto di accedere a questa particolare cura compassionevole. Nel bel mezzo dell’infuocato dibattito sull’opportunità o meno di stravolgere il normale protocollo sperimentale cui viene sottoposto ogni medicinale o cura, anche i genitori della piccola Sophia Maria avevano deciso di seguire lo stesso iter legale, inoltrando un ricorso e vincendolo in data 8 aprile. Tra Sofia e Sophia s’interpone tuttavia una legge, che è poi quella che il corpulento Vannoni addita come causa della morte della neonata.
La legge in questione, approvata in via definitiva il 25 maggio scorso, costituisce una modifica del cosiddetto Decreto Balduzzi, approvato solo 2 mesi prima. Rispetto al precedente Decreto, la Legge 57/2013 mantiene in effetti la possibilità di continuare l’infusione di cellule staminali secondo il Metodo Stamina come cura compassionevole, ma solo nel caso di pazienti già sottoposti precedentemente ad almeno un ciclo di infusioni. Per gli altri, quelle decine di migliaia di malati che secondo Vannoni desidererebbero ancora accedere al protocollo, l’unica possibilità sottoporsi in tempi brevi al trattamento consisterebbe nel rientrare nel programma di sperimentazione, previsto dalla stessa legge entro un periodo di 18 mesi. Ad oggi, per quel che si sa e nonostante i rimpalli di responsabilità tra Ministero e Stamina Foundation, le procedure tecniche e burocratiche necessarie per avviarla non sono tuttavia ancora state formalmente intraprese. In pratica, al momento la legge introduce di fatto un discrimine tra chi la cura l’ha cominciata e può continuarla nonostante non ci siano prove effettive né della sua utilità né tanto meno della sua non pericolosità, e chi, almeno per ora, dovrebbe rassegnarsi a vedersi negata una eventuale possibilità con buona pace della speranza che inevitabilmente anima pazienti e famiglie. Come spiegare a dei genitori, ad esempio, che una cura definita da un giudice compassionevole è tale per Sofia ma non per Sophia?
Che poi, a guardar bene, c’è anche dell’altro. Nella mia veste di cittadina osservante, nel doppio senso di chi la legge la rispetta ma cerca di capirla al tempo stesso, trovo qualcosa di profondamente contraddittorio non solo nello stato di cose introdotto, ma anche nel testo in sé. A grandi linee, mi sembra onestamente un po’ il solito pasticcio all’italiana, un testo che cerca di accontentare tutti senza rendere giustizia a nessuno. Una sorta di “condono sanitario” che ribadisce al tempo stesso l’inflessibilità della regola (della sperimentazione) introducendo tuttavia una vistosissima eccezione. Come a dire che sì, ci sono dei protocolli di sperimentazione medica che in effetti vanno rispettati, ma che in almeno un caso in particolare questi sono semplicemente un po’ meno giusti del solito.
Un’ultima questione ha poi colpito la mia attenzione, e riguarda la prevenzione. Come fa giustamente notare il papà di Sophia, alcune gravissime ed incurabili malattie, tra le quali quella che ha ucciso sua figlia, hanno origine genetiche, colpiscono cioè i figli concepiti da genitori entrambi portatori dello stesso gene difettoso, e dovrebbero essere dunque sottoposte a prevenzione visto la loro attuale incurabilità. Nonostante alcune sentenze e l’intervento della Corte Europea, in Italia vige tuttavia ancora la famigerata Legge 40, che anche in materia di screening genetico e selezione degli embrioni da impiantare pone limiti fortemente vincolanti e riserva comunque la procreazione assistita esclusivamente alle coppie sterili e non anche a quelle portatrici di malattie genetiche. In sostanza, queste malattie al momento non si possono prevenire, oltre che non si possono curare. Purtroppo, il 12 e 13 luglio 2005 molti di noi erano davvero al mare invece che a votare i referendum abrogativi della Legge 40/2004.