Cronaca

In Turchia fra manifestazioni, arresti e amore per la libertà

La  Turchia sta vivendo una primavera a dir poco rovente. A fine maggio si è scatenata una protesta causata della decisione del governo di abbattere 600 alberi del Taksim Gezi Parkı, per lasciare il posto a un grande centro commerciale, una moschea e una caserma. La politica territoriale del regime Erdoğan non si limiterebbe però solo al cuore di Istanbul: in programma c’è anche la costruzione di un terzo ponte sul Bosforo (Boğaziçi), di un canale alternativo allo stretto, di una città satellite – “Istanbul Metropolitan” , di un terzo aeroporto e di una serie di moschee e palazzi in vista delle Olimpiadi che si svolgeranno in Turchia nel 2020.

In Turchia fra manifestazioni, arresti e amore per la libertà

La protesta contro tali iniziative è partita dagli ambientalisti, allargandosi poi a macchia d’olio fra la popolazione di Ankara, Istanbul, Smirne e delle maggiori città turche. Lo scontro è iniziato come reazione all’abbattimento del parco Gezi ma in seguito alla risposta repressiva della polizia con idranti, sostante urticanti e gas lacrimogeni, la situazione si è inasprita. Ad oggi sono stati registrati 4 morti e circa 4100 feriti. Sembra inoltre che televisione e mass media turchi tendano a censurare le notizie relative alle proteste.

Piazza Taksim è diventato il simbolo della rivolta civile, luogo di ritrovo per le migliaia di manifestanti che hanno sfidato il potere, affiancati dai sindacati, anch’essi schierati contro l’autoritarismo del primo ministro.

Un elemento significativo di questo malessere diffuso, è che molti giovani turchi percepiscono una lenta ma inarrestabile limitazione delle libertà individuali. Oltre alle politiche urbanistiche discutibili del governo, essi prendono in considerazione la realtà turca nel suo complesso e nonostante il Paese sia da anni in crescita,  chiedono a gran voce una modernizzazione del mercato del lavoro.

Racep Tayyp Erdoğan, fondatore del Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp), è alla guida della Turchia dal 2002.  Allontanandosi dalla linea  del secolarismo laico, egli ha reintegrato l’obbligo del velo per le donne fin dalle scuole elementari, nonché l’uso di gonne lunghe alla caviglia per le hostess della Turkish Airlines. Ha poi reintrodotto il reato di blasfemia e sancito una ferrea limitazione alla libertà di espressione per i giornalisti, che rischiano il carcere se ritenuti “contrari alla linea governativa”. Recente inoltre il provvedimento  che vieta di pubblicizzare e consumare alcolici nei luoghi pubblici dalle ore 22 alle 6 del mattino. Sono leggi che richiamano i precetti islamici, nonostante in passato l’espressione religiosa fosse addirittura vietata nei luoghi istituzionali. Secondo molti manifestanti Erdoğan ha “sposato la Shariʿah (Legge di Dio) e viene accusato di essere un vero e proprio dittatore. Egli, di tutta risposta, dichiara che le rivolte sono opera di frange estremiste e definisce le reti sociali come Twitter “una minaccia per la società”. 25 persone sono infatti state arrestate per aver “fomentato” i disordini sul social network.

I cittadini chiedono le dimissioni del primo ministro e dei vertici della polizia a causa dell’eccessivo uso della violenza.

Strano proibizionismo quello del governo attuale, considerando che il divorzio in Turchia è stato introdotto 50 anni prima che in Italia. La Turchia è sempre stato un Paese laico, fin dal quando Mustafa Kemal Atatürk, fondatore della Repubblica Turca, ha esteso negli anni ’20 la possibilità di voto anche alle donne.

Ad ogni modo la manifestazione di questi giorni risulta essere eterogenea: coinvolge nazionalisti, curdi, comunisti, laici, socialisti, studenti, ex elettori dell’ Akp e chiunque sia  insoddisfatto dell’autoritarismo del governo Erdoğan.

Molti si chiedono che fine abbiano fatti i militari e perché non reagiscano ai comportamenti violenti della polizia. L’esercito turco ha infatti storicamente il compito di garantire l’indipendenza dei poteri dello Stato, fin dai tempi di Atatürk. Sembra però che molti ufficiali e generali si trovino attualmente sotto arresto per il reato di vilipendio alla nazione. Durante le manifestazioni diversi cittadini sventolano la bandiera turca, ma mostrano anche l’immagine del “padre della patria”. È bene però ricordare che l’esercito tanto invocato in questi giorni, ha commesso in passato abusi di potere e che la carcerazione di alcuni suoi membri era vista di buon occhio da buona parte della popolazione.

Il vice primo ministro Bülent Arinç pare abbia compreso la gravità degli eventi: si è scusato in conferenza stampa per l’eccessiva brutalità delle misure repressive: ” L’esecutivo ha imparato la lezione. Non abbiamo il diritto e non possiamo permetterci di ignorare la gente. Le democrazie non possono esistere senza l’opposizione, con quanti hanno subito violenze a causa della loro sensibilità per l’ambiente”.

I manifestanti chiedono al governo partecipazione e democrazia reale, attenzione alla società civile e maggiore tolleranza.

Al momento però, Erdoğan non sembra voler rinunciare al suo ambizioso progetto urbanistico.

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