Cronaca

Aborto e legge 194: intervista a Corrado Melega

Corrado MelegaCorrado Melega è consigliere comunale a Bologna e coordinatore di una commissione per il percorso nascita nel consiglio regionale dell’Emilia Romagna. Ginecologo ora in pensione, è stato primario a Cesena e ha diretto la maternità Bolognese. Il suo ruolo nella lotta per i diritti della donna è stato molto intenso negli anni ’70, dove ha promosso la nascita dei primi consultori su base volontaria.

Qual’è la condizione di applicazione della legge 194 in Italia?

“In Italia l’applicazione della legge 194 è messa in grave difficoltà dal fatto che in molte regioni, sopratutto nel sud, gli obiettori di coscienza hanno ormai superato l’80%, quindi ci sono interi ospedali in cui le donne non hanno la possibilità di entrare per fare questo intervento. In Emilia Romagna le cose vanno discretamente meglio perché la percentuale di obiettori si aggira intorno al 51/52%, gli infermieri intorno al 45/46 % e più o meno lo stesso gli anestesisti. Non ci sono problemi particolari. Faccio notare che la legge ha sì previsto l’obiezione di coscienza, ma è stata una cosa molto discussa e se non fosse stata prevista, la legge non sarebbe passata; però è anche vero che l’art 15 dice espressamente che le istituzioni pubbliche sono tenute a far si che questa legge venga applicata. Quindi teoricamente si potrebbero fare, nei luoghi dove non ci sono sufficienti professionisti, alcune assunzioni di scopo.  Ma se dici una cosa del genere ti dicono subito che stai discriminando…come se ora non ci fosse una discriminazione al contrario perché non si fanno gli interventi e si costringono le donne ad andare in giro per la regione a cercare posti in cui poterlo fare.”

Ma riguardo agli obiettori cosa pensa? Vanno eliminati del tutto o è giusto che rimangano?

“Secondo la mia personale opinione l’obiezione di coscienza andrebbe eliminata, però il problema è che se adesso si prendesse in mano la legge per correggerla, la situazione politica è tale che si rischierebbe di mutilarla in maniera peggiorativa. La mia personale opinione è che la legge debba restare così, che non debba essere toccata ma solo applicata. Le istituzioni sono tenute a rispettarla anche con la mobilità. Teoricamente si potrebbe far si che se in un ospedale ci sono 6 non obiettori e nell’altro ci sono 10 obiettori, 3 non obiettori potrebbero essere spostati.”

E questo al momento non accade?

“No in Emilia Romagna non succede, ma come ho detto in Emilia Romagna non ci sono troppi problemi. Ma non ho notizie che succeda da altre parti. Ora, spostare professionisti è complicato, perché poi ci sarebbero rivendicazioni sindacali, però è meno complicato lavorare sul piano di assunzione delle aziende e assumere persone con la clausola di fare l’interruzione di gravidanza.”

Ha mai avuto a che fare con il movimento per la vita?

“Ho avuto a che fare col movimento molto tempo fa, quando sono diventato primario a Cesena, nel 90.  Lì c’era una forte presenza e hanno tentato di farmi qualche dispetto; ad esempio il responsabile degli anestesisti fece in modo di far obiettare tutti i suoi dipendenti, così mi mise in difficoltà, ma l’azienda fece dei contratti a gettone con anestesisti non obiettori. A volte veniva in ospedale per cercare di convincere le donne a non abortire. Poi ho avuto conflitti importanti quando ci fu il referendum per l’abrogazione della legge nell’80. Io facevo la mia campagna per salvare la legge e c’era sempre qualcuno del movimento che mi provocava e mostrava fotografie di feti, cose così. L’ultimo conflitto che ho avuto quando sono venuto a Bologna a dirigere la maternità è stato con l’associazione Giovanni XXIII che voleva entrare nei reparti per cercare di convincere le donne a non abortire. Ma quando la donna ha deciso ed è ricoverata ci sembrava non corretto che qualcuno andasse lì a cercare di farle cambiare idea. Comunque il movimento ha messo in piedi in alcune città come Forlì gruppi di persone che si occupano di donne che all’ultimo momento hanno deciso di portare avanti la gravidanza. Se ne occupano dal punto di vista finanziario e di assistenza morale per la gravidanza. Poi dicono anche di curare eventuali adozioni o di aiutare economicamente le famiglie, ma questa cosa non è ben chiara. Tutto ciò va benissimo, ma il problema delle donne è che devono essere aiutate non solo in maniera caritatevole, ma anche istituzionale, con assistenza post-parto; come in Francia dove, quando una donna ha a partorito, viene qualcuno in casa ad aiutarla e ci sono anche una serie di assicurazioni. Ad esempio l’art 15 dispone che la donna vada aiutata anche dal punto di vista psicologico e la pillola ru486 va in questa direzione, ma in Italia non viene quasi mai usata.

Differenze tra aborto farmacologico e chirurgico?

“l’aborto chirurgico prevede sala operatoria, anestesia e può avere tutte le complicanze del caso. Il farmacologico è più complesso dal punto di vista esecutivo perché prevede tre giorni di trattamento e la donna è pienamente consapevole. I vantaggi sono che si può intervenire prima e non ci sono liste d’attesa. Intervenire prima significa dimezzare i pericoli. Non c’è ospedalizzazione, non c’è anestesia e non c’è uso di strumenti chirurgici.”

In Europa è maggiormente sfruttato l’aborto farmacologico, vero?

“Si ad esempio in Francia, Inghilterra e paesi scandinavi la maggior parte degli aborti viene fatto farmacologicamente. Anche in Portogallo e Spagna, seppur in maniera minore. Il problema in Italia è che la pillola è nata sotto l’egida del “adesso l’aborto si fa al supermercato”, cosa assolutamente non vera.”

Riguardo ai consultori, qual’è la situazione attuale? Funzionano?

“Secondo me adesso funzionano, stanno riprendendo in qualche modo la funzione che avevano inizialmente di formazione ed educazione sessuale. Anche loro ovviamente risentono della crisi, il personale che va in pensione viene sostituito solo per un quarto, quindi c’è un depauperamento delle risorse umane. C’è un aumento di donne che si fanno seguire per la gravidanza. Prima erano solo donne straniere, ora invece anche le italiane lo fanno in maniera significativa.”

E riguardo la pillola del giorno dopo?

“La pillola è un farmaco in regolare commercio approvato dalla commissione del farmaco e se un medico la prescrive il farmacista deve renderla disponibile. C’è, rispetto all’obiezione di coscienza dei farmacisti, una cosiddetta “clausola di coscienza”, inventata dal comitato nazionale di bioetica che dice: sì la pillola del giorno dopo non è abortiva, ma si può anche pensare che qualcuno possa obiettare, purché obbligato a fornire indicazioni alla donna o alla coppia per andare alla farmacia più vicina. Ma in un paesotto di montagna la farmacia più vicina può essere 30 km e la pillola del giorno dopo man mano che passa il tempo diminuisce la sua efficacia. Manca una certa educazione nella pianificazione familiare perché andrebbe utilizzata solo come contraccettivo d’emergenza.

E nelle scuole?

“Nelle scuole non si parla quasi mai di questo. Ma ci sono alcuni consultori che sono spazi in cui gli adolescenti possono andare senza genitori e qui, secondo me, andrebbe distribuita la pillola gratuitamente. Ho fatto per questo un intervento in comune, ma sono stato subito bollato dal movimento per la vita”

Ho letto una vecchia intervista al dottor Valter Tarantini, dove formulava l’ipotesi di far pagare dal secondo aborto in poi. Secondo lei è realizzabile?

Queste sono tutte cose che condannano le donne, andrebbero approfondite meglio e non mi sento di sottoscrivere. Bisognerebbe valutare ogni storia, mi pare una misura troppo coercitiva.

Tarantini tirava fuori anche numeri importanti, dicendo che il 26% delle donne che praticano l’IVG sono recidive

Non credo che dopo il secondo aborto sia del 26%, ma non ho numeri.

Concludo chiedendole le sue prospettive future sulla legge 194.

“Io spero che in Emilia-Romagna continui così e poi vedremo. Mi pare che il governo appena nato non possa fare grandi passi in questa direzione, perché la composizione non lo consente.

Sheyla Bobba

Classe 1978. Appassionata di comunicazione e informazione fin da bambina. Non ha ancora 10 anni quando chiede una macchina da scrivere come regalo per il sogno di fare la giornalista. A 17 anni incontra un banchetto del Partito Radicale con militanti impegnati nella raccolta firme per l’abolizione dell’Ordine dei Giornalisti e decide che avrebbe fatto comunicazione e informazione, ma senza tesserino. Diventa Blogger e, dopo un po’ d’inchiostro e font, prende vita il magazine online SenzaBarcode.it Qualche tempo dopo voleva una voce e ha creato l’omonima WebRadio. Con SBS Edizioni & Promozione si occupa di promozione editoriale e pubblicazione. Antipatica per vocazione. Innamorata di suo marito. Uno dei complimenti che preferisce è “sei tutta tuo padre”.

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