Cronaca

Il prete e la conduttrice: don Luigi Merola contro Maria De Filippi

A Gorizia, don Merola attacca (tra gli altri) la De Filippi, e scoppia il caso. don luigi merola conttro maria de filippi

Per tutti quelli invece che vanno un po’ più di fretta, e che di questi tempi siamo in fondo un po’ tutti, è necessario sapere per lo meno che il discorso si articola attorno ai temi dell’educazione giovanile e della guerra all’abbandono scolastico, come principî primi su cui costruire la coscienza civile di una società ancora pesantemente in lotta contro la criminalità organizzata a livello culturale oltre che repressivo.

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Ed è effettivamente interessante notare come il sacerdote, tra catechesi e denuncia, oltre a fare nomi e cognomi di istituzioni nel loro agire non sempre degne del loro ruolo, additi anche una conduttrice tra i “colpevoli” di una degenerazione educativa e culturale generale che, in particolari contesti,  viene effettivamente a costituirsi come terreno fertile per il proliferare della mentalità criminale. Se un passaggio diretto tra tv e criminalità può sembrare a effettivamente azzardato, sarà bene contestualizzare l’affermazione ricordando che è in effetti a livello di educazione che si gioca giustamente la battaglia.

Se la mafia, come si dice spesso, prospera dove lo Stato è assente, la mentalità criminale in senso lato viene sempre più spesso a sostituirsi proprio dove un’educazione civile e valoriale si vada indebolendo. Di questa Italia decadente, in cui simbolicità e modelli perdono in pregnanza e acquistano in apparenze, il sacerdote fornisce una serie colorita di aneddoti esemplari. Ed è qui che s’inserisce anche la De Filippi con i suoi programmi storici “Amici” e “Uomini e Donne“, vero laboratorio di simbolicità e modelli che non possono risultare ininfluenti se assorbiti su larga scala.

Da brava figlia degli anni ottanta, nonché  insonne fin da piccolissima, son venuta su a forza di Colpo Grosso e Ken Shiro, senza per questo ritrovarmi da adulta ad andare in giro con stelline luccicanti sui capezzoli o piantando le dita nel torace delle persone fin a far loro esplodere la testa.  Insomma, son di quelle che confida nell’intelligenza infantile e che non crede minimamente che i bambini vadano cresciuti immersi nella bambagia di un mondo privo di germi e popolato da principesse. Questo breve excursus biografico sta a premettere semplicemente che molte delle critiche rivolte alla tv da chi vorrebbe salvaguardare incondizionatamente l’innocenza dei fanciulli, non solo non mi toccano ma mi lasciano molto spesso più che perplessa. Eppur devo ammettere che mi trovo in sostanza d’accordo con l’ex-parroco di Forcella.

Una trasmissione che si chiama Amici che di amicizia non ha nulla, uno contro l’altro” accusa il napoletanissimo don Luigi. “Una persona di 70/80 anni che deve ringraziare San Gennaro.. significa che questa salute la dovrei dedicare ai miei figli, ai miei nipoti, perché ho lavorato per tutta la vita, ho tolto tanto tempo alla famiglia”, prosegue. Tuttavia, al di là delle nonnine allegre che sfilano in minigonna e degli Amici-nemici citati da don Merola, spettacoli forse non proprio edificanti in sé ma neanche così dannosi nell’immediato, è forse più che altro il contesto simbolico e valoriale in cui s’immergono a preoccuparmi.

Quella sagra dell’apparenza mascherata di lacrime e buoni intenti, è un insidioso universo parallelo in cui si vince per popolarità e non sempre per merito, e la popolarità risulta maggiore quanto maggiormente ci si mette in mostra. Che in amore e in guerra tutto è permesso, rimane una massima universalmente valida. Ma l’amore, che le nonnine allegre vanno cercando in tv è palesemente solo un pretesto per mostrarsi, così come la guerra competitiva propria di ogni talent-show rimane solo sul fondo delle sfide ad Amici, che in tutte le edizioni ha visto i concorrenti sfidare superbamente molto più spesso i propri insegnanti che i propri colleghi-concorrenti. Il successo, la propria soddisfazione personale e la misura della propria individualità si tramuta dunque in una gara a chi schiamazza più forte, a chi più piange e a chi più fa parlar di sé. Ma ecco, anche far parlar di sé presupporrebbe una qualche qualità, bella o meno, che venga ostinatamente portata avanti con un lavoro serio e quotidiano. L’idea che tutto si possa guadagnare con sforzo minimo, attivando semplicemente i recettori uditivi sensibili agli ultrasuoni emessi da gorgheggi urlanti, è l’apoteosi della caducità di una società senza riferimenti non dico forti, ma per lo meno vagamente stabili, e dunque fortemente soggetta alla legge del più facile. E la cosa più facile, difficilmente è anche la più onesta, ammettiamolo.

“Allora”, conclude don Luigi, “spegnete questa televisione, perché il potere ce l’abbiamo noi! Se noi la teniamo accesa, ogni anno l’audience aumenta e noi questa televisione la vediamo sempre”. In alternativa, in realtà, si potrebbe sempre cambiar canale.

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