Lazio-Roma, da incognita a gregario di lusso: la favola di Lulić
Era il derby più importante dell’anno, e tra tanti nomi di spicco è stato uno tra i gregari a deciderne le sorti. Senad Lulić è l’uomo del giorno nella capitale, mentre sul versante giallorosso è notte fonda.
Tutti si aspettavano la giocata di Totti, la magia di Hernanes o la sortita di Lamela: e invece l’uomo del derby capitolino più importante della storia è colui che in pochi s’aspettavano. Senad Lulić è approdato sotto l’ombra del Colosseo nel 2011, sul versante biancoceleste, nell’indifferenza più totale: il suo inserimento nello scacchiere allora giostrato da Edy Reja fu graduale, ma l’impatto si fece sempre più decisivo con il passare delle partite. Dopo pochi mesi arrivò anche il primo gol in Serie A, contro il Bologna, e una serie di prestazioni sempre più convincenti. Ma come dicono gli inglesi (e anche noi italiani a dire il vero): “The best is yet to come”.
Lazio-Roma non è mai una partita come le altre, neanche in amichevole… figuriamoci in finale. La Coppa Italia 2013, infatti, s’è giocata con le due squadre della capitale pronte a darsi battaglia fin dal primo minuto, in un’atmosfera tesa e vibrante, infuocata ancor di più dalle voci di minacce, veleni e affini della vigilia, cose che con il calcio hanno ben poco a che fare.
Ma torniamo alla partita. Tra una vera e propria parata di stelle, la vera vincitrice dei primi quarantacinque minuti è stata la rabbia agonistica: cinque ammonizioni, poche emozioni e tanto, tantissimo nervosismo. La ripresa, almeno nei primi 10 minuti, ha riproposto lo stesso leit-motiv, fino al punto di rottura: cross al centro dell’inesauribile Candreva, smanacciata maldestra di Lobont (molti parlano di papera, forse esagerando) che prende in controtempo Marquinhos e regala a Lulić il più facile dei gol. L’esterno bosniaco era stato, fino a quel momento, uno tra i migliori in campo, e in molti fino a quel momento manco se n’erano accorti. Una giornata trionfale per il popolo laziale e per Lulić, che nonostante un rendimento costante per tutto il proseguo del campionato appena conclusosi, era sempre e comunque rimasto nell’anonimato ai più, non certo ai tifosi biancocelesti e a Petkovic, vero eroe della stagione laziale, arrivato anche lui con una valigia di speranze e di desideri ma subito contrastato dall’indifferenza e dalle perplessità dell’ambiente.
Breve capitolo Roma: forse parlare di fretta, programmazione scellerata e scelte discutibili rappresenterebbe il canonico “coltello nella piaga”, ma la dirigenza giallorossa ha forse le idee poco chiare sul da farsi. Zeman è stato ingaggiato con tutti i rischi del caso, e silurarlo a metà stagione per promuovere un tecnico e usarlo come semplice “rimpiazzo” per un futuro allenatore di cui non si sa ancora il nome, non s’è rivelata una scelta di certo felice. I risultati di quest’anno sono stati praticamente equivalenti a quelli ottenuti da Luis Enrique nella scorsa annata, un ulteriore indizio che sembra fare la prova: forse la colpa non è proprio tutta del tecnico? Basta analizzare diversi fattori: portiere in primis. Stekelenburg sì, Stekelenburg no, un vero e proprio valzer dei portieri che ha finito per scontentare tutti, dal titolare inamovibile al suo secondo, Lobont, che s’è visto d’improvviso scavalcare dall’inesperto Goigoechea; la difesa, inoltre, s’è rivelata poco attenta anche dopo l’addio di Zeman, ennesima dimostrazione di un problema tecnico, non tattico. E poi la grana De Rossi: quando è stato escluso tutti gridavano allo scandalo, ma il suo rendimento da titolare, anche dopo l’arrivo di Andreazzoli, è stato decisamente deludente rispetto ai suoi standard. Tanta confusione in casa Roma, caos che non porta quasi mai a nulla di buono.