Aborto: le ragioni del fallimento della legge 194/78
Le ragioni del fallimento di una normativa sull’aborto che ha compiuto da poco 35 anni.
E’ notizia di questi giorni, la normativa italiana sull’aborto non funziona più. Repubblica in una sua inchiesta snocciola numeri da incubo: oltre l’80% dei ginecologi e oltre il 50% degli infermieri e anestesisti sono obiettori di coscienza, 15/20 mila gli aborti illegali stimati, cifre che nella realtà possono raggiungere le 40/50 migliaia. Nel Lazio, ad esempio, i ginecologi obiettori sono ben il 91%, numeri che rendono di fatto molto difficile, se non spesso impossibile ottenere un interruzione volontaria di gravidanza. Gli unici ad ottenere un vantaggio da questa situazione sono gli ambienti della malavita organizzata, che importano farmaci “equivalenti” e li spacciano a tutte quelle donne che non possono permettersi cliniche private. Farmaci spesso pericolosi e a volte mortali.
Ma quali sono i punti deboli di una legge che da poco ha compiuto 35 anni? Sostanzialmente due: la redazione fallace e la presenza nel testo della normativa di un procedimento regolamentato per sottrarsi all’osservanza della stessa. Il problema della redazione non è di poco conto.
Il primo comma dell’articolo 1 recita:
“Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.”
Questo è l’unico punto di tutto il testo in cui si legge la parola “diritto” ed il diritto di cui si parla è quello “alla procreazione cosciente o responsabile”, una dicitura molto vaga. E’ il manifestarsi nero su bianco della volontà del legislatore di tenere il piede in due staffe: si afferma sì l’esistenza di un diritto, ma non direttamente di quello ad abortire e dunque si lascia campo aperto ad interpretazioni fortemente negazioniste della norma. La ricerca di un punto di equilibrio tra le richieste dei “pro-life” e quelle dei “pro-choice” ha condotto gli interpreti ad una condizione di forte incertezza. C’è chi come Assuntina Morresi, membro del Comitato nazionale di bioetica, arringa all’inesistenza del diritto ad abortire, mentre chi, come il Collettivo 194, organizza petizioni per difenderlo. In tutto il testo parole come “può” prendono il posto di “deve” e parole come “compito” prendono il posto di “obbligo”; la confusione per gli operatori diventa totale.
Il secondo punto debole della norma è l’esistenza dell’articolo 9 che disciplina gli “obiettori di coscienza”. La possibilità di obiettare è certamente una grande conquista e nessuno può né deve essere obbligato a commettere qualcosa che ritiene omicidio. Il problema è che la facoltà di essere obiettori è estesa anche agli anestesisti, il cui ruolo attivo nell’“omicidio” è discutibile ed il concetto di “infermiere” è così vago da poter includere per assurdo anche i portantini. Ma il problema maggiore è come viene gestito in ambito statale il fenomeno degli obiettori: L.a.i.g.a. (Libera associazione italiana ginecologi per l’applicazione della legge 194/78) lamenta l’assenza di liste organizzate di obiettori che permettano di suddividere al meglio il carico di lavoro negli ospedali; inoltre nel proprio sito l’associazione elenca diverse iniziative che aiuterebbero a razionalizzare l’apparato, come creare mappe dei luoghi in cui è possibile ottenere l’IVG e mappe dei non obiettori che li aiutino a consultarsi e sostenersi. I limiti endemici della legge 194 del 1978, uniti al sostanziale disinteresse delle istituzioni, hanno condotto alla situazione attuale: un’invisibile tensione verso l’abrogazione tacita della normativa. Gli obiettori di coscienza sono sempre in aumento, mentre tra i non obiettori forte è la tendenza a non accettare di eseguire IVG, per non ostacolare la propria carriera.